martedì 4 gennaio 2011

Sul municipalismo libertario _ da una lettera di Murray Bookchin


La cosa più importante è la distinzione che andrebbe fatta tra comunitarismo e municipalismo libertario, una distinzione che spesso va smarrita quando si discute della politica del municipalismo libertario. Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti e a quelle ideologie che aspirano a trasformare la società creando cosiddette alternative nel campo economico e dell'esistenza personale, come le cooperative alimentari, le scuole, le tipografie, i centri comunitari, le aziende agricole di quartiere, gli squats e così via elencando. Tra gli esponenti del comunitarismo, che si ispirano alle opere di Proudhon, ci sono state personalità come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare qualche nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo mira a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanità dalla logica delle imprese private (banche, grandi aziende, supermercati, fabbriche e sistemi industriali in agricoltura) e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono, con imprese pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario" spesso è sostituibile col termine "cooperativo", una forma di produzione e di scambio che risulta attraente non solo perché richiama un senso d'amicizia e di collettivo, ma anche perché è sotto il "controllo operaio" o la "gestione operaia".Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che serva ad abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi in concorrenza, di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere da barriera morale all'avidità e alla malvagità che agli occhi di tanta gente rende così riprovevole l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una politica, ma di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole dimensioni che fanno la "scelta" di acquistare o di lavorare in un'azienda cooperativa. Quando indico in Proudhon uno dei padri del comunitarismo, anche se non è esattissimo, faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa pratica a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior parte della produzione di oggetti era affidata agli artigiani e quella agricola e alimentare a piccoli contadini. Da allora sono nate tante cooperative, animate dalle più ambiziose speranze e destinate in genere a fallire, a vivacchiare o a trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente costrette ad adattarvisi o sono state semplicemente annientate dalla concorrenza di aziende animate da uno spirito di rapina e, nei fatti, più efficienti, ma tutte orientate al profitto.

Un progetto antistatale
Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi sui propri problemi e interessi e, nella misura in cui sono in rapporto tra loro, a puntare tutto sulla propria sopravvivenza o la propria espansione. Soprattutto, capita molto raramente, se mai succede, che diventino centri di potere popolare. Questo in parte perché le questioni attinenti ai pubblici poteri in quanto tali non le toccano e in parte perché non hanno gli strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolgano, a proposito del chi dovrebbe governare la società e del come dovrebbe governarla. Sostenendosi con le idee che esprimono in campo sociale (e, con l'andar del tempo, anche come idee socialmente valide queste sono defunte) sperano di riuscire a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Così, col tempo, tendono a chiudersi in se stesse, a essere settarie e limitate, a riunire in sé non collettivisti ma capitalisti collettivi e, in ultima analisi, a essere più capitaliste che socialiste nella pratica e negli interessi. Il municipalismo libertario, invece, è decisamente un'espressione politica antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto, faccia a faccia, il dialogo, il confronto. è soprattutto attento alle questioni fondamentali del potere. Pone questi interrogativi: dove dovrà sussistere il potere? Quale parte della società dovrà esercitarlo? Quali istituzioni sono necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio del potere non statale? Se è vero che vivere/lavorare in una cooperativa può essere una cosa buona per instillare nelle persone valori, interessi, relazioni di stampo collettivista, le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per l'acquisizione del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine, "istituzioni", perché mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo." Io ritengo che uno slogan del genere crei confusione e disorientamento, perché lascia intendere che le persone politically correct siano individui "autonomi", liberi da ogni obbligo istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali sarebbero una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire il proprio "io autentico" e di realizzarsi. No: è un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono vivere senza istituzioni (spesso perché il loro comportamento è geneticamente condizionato), ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo creativo le strutture sociali, basate non tanto su una supposta genetica o su certe usanze, ma soprattutto su "forme di libertà" (come le definivo già negli anni sessanta) razionalmente costituite che servono a organizzare ed esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale. Perciò, se oggi dovessi riscrivere in forma più estesa il mio articolo The Forms of Freedom, vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni e leggi formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta e aperte al dialogo. In effetti, per molto tempo sono stati gli oppressi a richiedere e a pretendere costituzioni e leggi, quali strumenti di controllo, anzi di eliminazione del potere arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e dittatori. Ignorare questo fatto storico e regredire a un "istinto di solidarietà", a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto di condivisione", significa abbandonare un auspicabilissimo mondo civile per ritirarsi nel mondo della bestialità, optare per una zoologia sociale che non ha senso applicare all'umanità intesa come specie dalle capacità d'innovazione che crea e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo. A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario si preoccupa del potere: non semplicemente del potere di autocontrollo che si può acquisire partecipando a una riunione ispiratrice, ma il potere concreto che si esprime in forme organizzate di libertà, concepite in modo razionale e costituite con modalità democratiche. Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere, non vuole semplicemente sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda e di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo in mano alla gente nelle assemblee popolari. E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare a una comunità basata sui principi del municipalismo libertario bisogna prima prepararle il terreno, cementandola con uno stile di vita basato sulla reciprocità come quello offerto dalle attività cooperative. Fin troppo spesso le cooperative sono diventate fini a se stesse e, quando ce l'hanno fatta, hanno privilegiato gli scopi che rispondevano alle proprie logiche interne, opposte alle comunità per le quali volevano rappresentare un riferimento. Ne ho viste tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli occhi davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura in concorrenza con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte attività "educative", togliendo a tutti i propri associati ogni potere e trasformandoli in semplici clienti. Costrette dal capitalismo ad adottare i metodi dell'organizzazione capitalistica, assumono manager e specialisti del business di un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare i propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni eleganti delle istituzioni virtuose.

Educazione e formazione
Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non affondare nella palude comunitaria, perdendo la propria identità per dedicarsi alla costruzione, al mantenimento e all'espansione di cooperative, indipendentemente dal fatto che questa sia o no una cosa buona. Il municipalismo libertario è il tentativo di recuperare e superare la definizione aristotelica dell'uomo quale animale politico. "L'uomo" o quanto meno, l'uomo greco, nella Politica di Aristotele, è chi vive nella polis, cioè in un municipio e non, come spesso si ritiene erroneamente, una città-stato. È questo uno dei teloi, dei fini dell'uomo, una forma che si attualizza in quanto essere umano. Per esprimersi in termini religiosi, egli è destinato a essere l'abitante della polis, della città, nella misura in cui realizza la propria umanità. I suoi teloi, che comprendono un sistema di leggi (di diritti come di doveri) razionalmente e democraticamente costituito, includono anche la sua facoltà di essere cittadino, vale a dire un essere umano preparato, con una formazione o paideia che dura tutta la vita, in modo da possedere tutte le competenze che servono per assumersi tutti gli impegni di autogoverno. Deve essere capace, intellettualmente come fisicamente, di surrogare tutte le funzioni socio-politiche assunte dallo Stato, in particolare quelle dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati, rappresentanti legislativi e così via. Lo Stato non è liquidato solo istituzionalmente, ma anche soggettivamente, rendendo la gestione della società una faccenda rigorosamente umana. Lo Stato, in sostanza, è sostituito da cittadini liberi e istruiti che, all'interno di assemblee popolari, ne eliminano la pretesa di avere la competenza esclusiva su di sé, che giustifica la propria esistenza col fatto che i suoi costituenti sono bambini ignoranti che hanno bisogno di un "padre" capace di gestire le loro faccende. Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione e una formazione rigorose, anzi la costruzione di un carattere e di un integrità etica, se si deve giustificare la competenza del cittadino (la sua capacità di sostituire lo Stato). È così non solo eliminando lo Stato, ma anche eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose implicano a loro volta non fatui tentativi di "espressione dell'io", spesso di un io appena sbozzato e non ancora formato, ma un processo di apprendimento sistematico, programmato con cura, bene organizzato. L'umanità non può produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa assicura ai giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che si presumono "spontanei", in cui lo studente è chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga somministrata. Proprio questa attenzione alla paideia rende la Repubblica di Platone un'opera così grande nonostante i suoi tanti difetti: in realtà, molti dei testi migliori dalla filosofia greca racchiudono idee su come educare i giovani per farne dei cittadini capaci non solo di riflettere in modo sistematico, ma anche di usare le armi per difendersi e per difendere la democrazia. La democrazia ateniese, vorrei aggiungere, fu raggiunta quando la cavalleria aristocratica fu sostituita dagli opliti, i soldati di fanteria, la guardia civile del quinto secolo avanti Cristo, che assicurò la supremazia del popolo al posto di quella della nobiltà.

La questione del potere
Così, il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di autocontrollo", che sovente altro non è che uno stato di esaltazione emotiva più o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere umani sono costituiti per vivere come "animali politici". è una comunità strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione, fondate su basi razionali e democratiche. è formazione degli individui, membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia. Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle competenze, al potere armato, alle istituzioni democratiche e al metodo che affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo è in grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare, con la scusa che i suoi appartenenti sarebbero ragazzini incapaci. È questo il regno della politica, il suo universo reale, che rischia di essere completamente cancellato da una società che sempre più assomiglia a una Disneyland e che ci spinge a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo. Se si lascia che questo regno della politica sia soffocato all'interno di istituzioni e di attività comunitarie, si perde del tutto di vista la necessità di ripristinarlo, anzi si svolge un ruolo bambinesco, se non reazionario, di disgregazione. Lo Stato si giustifica non solo per l'indifferenza dei suoi componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto, per la loro incapacità di gestire queste faccende. Chiunque si faccia complice di questa apologia ideologica dello statalismo, negando l'esigenza di un regno della politica o confondendolo superficialmente con la creazione di cooperative, di istituzioni, di gruppi d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni, di scontri tra i giovani e "l'autorità", nei panni di patetici e normali lavoratori con addosso le uniformi di polizia, si fa anche complice di quelle tesi ideologiche secondo le quali la formazione di assemblee pubbliche dotate di pieni poteri sarebbe una forma di statismo e la "libertà" sarebbe raggiungibile semplicemente tirando un mattone a un poliziotto o creando una "zona temporaneamente autonoma".<span>Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta questo insieme di concetti. è importantissimo il tipo di movimento (anzi di "avanguardia", un termine abusato, che la Nuova Sinistra ha guastato associandolo ai bolscevichi) che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene sì, di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni richieste dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto, di dissociarmi da I.S. Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti anarchici di Pietrogrado che, quando i marinai di Kronstadt, insieme alla guarnigione di Pietrogrado e agli operai più coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le armi in pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo sovietico, rispondeva all'appello a organizzarsi con la stupida parola d'ordine: "Saranno le strade a organizzarvi!" Le strade, manco a dirlo non organizzarono un bel niente e nessuno e, mancando una vera leadership, l'insurrezione fallì nel giro di pochi giorni.

Fasi distinte
Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni del passato, il problema principale che ho incontrato è stato appunto quello del tipo di organizzazione che potrebbe fare la differenza, tra la sopravvivenza e la morte, in un sollevamento rivoluzionario. Mi si è fatta sempre più chiara in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di operare positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che sia impegnata nella propria rigorosa paideia, che sappia formare proprie istituzioni, basate su una costituzione razionale, che s'impegni a cooptare cittadini istruiti e motivati, che abbia una propria struttura e propri programmi. Questa organizzazione potrebbe essere benissimo considerata una sorta di polis in via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo del municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno (destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli, farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili. Se non si hanno principi solidi e chiari, si è semplicemente senza principi: si svolazza nell'etere delle vaghe opinioni, senza autentiche idee, con concetti improvvisati e non con concezioni profonde, si fanno castelli in aria e non teorie solide con solide fondamenta. è vero che i principi si possono cambiare, ma la tesi secondo la quale i principi devono restare nel vago è lo specchio dell'attuale mentalità postmoderna, priva di spina dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene che non ci sia nulla di fondamentale, che ritiene che idee prive di forma, come amebe, meritino una seria attenzione, che pensa che ogni struttura sia autoritaria se non totalitaria e che i sentimenti siano più importanti di un pensiero profondo e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile, si ricade nella tirannia del non strutturato, proprio come, nel caso del compromesso con il consenso, si maschera il fatto che una minoranza (sia essa di uno, di dieci o di venticinque su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al cui interno uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che può negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque della maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso bloccherebbe la "tirannia" della maggioranza. Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento del municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione delle idee avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza abbia tutti i diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi altra organizzazione può dichiararsi tale. Io non sostengo certo che solo un'organizzazione municipalista libertaria abbia il diritto di negare ad altre la facoltà di ritenersi avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia il diritto di farlo, né tento di limitare loro questa possibilità. Ma è mia opinione che non si verificherà mai un importante cambiamento della società senza un movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda molto sul serio la propria struttura e che stabilisca regole precise di adesione. (...)

L'ultima occasione
Oggi il mondo sta cambiando a una velocità davvero stupefacente. Ho affermato più volte che, se il capitalismo non distruggerà il pianeta, il mondo forse tra trent'anni, ma sicuramente entro cinquanta, subirà una trasformazione che va al di là di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino scomparirà del tutto, non solo: anche quella natura che noi definiamo "selvaggia" non ci sarà più. È probabile che l'automazione dell'industria raggiunga livelli impensabili e che la superficie della terra subisca enormi trasformazioni. Non so, e non saprò mai, se questi cambiamenti provocheranno una crisi ecologica o se saranno affrontati, sia pur in modo insufficiente, dalla scienza e dalla tecnica. Sono tanti gli interrogativi su come sarà il mondo di domani, e io non cercherò di ragionarci troppo sopra, ora la mia vita sta volgendo al termine. Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista libertario non riuscirà a favorire la nascita di un sistema a democrazia diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente tutti gli ideali libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo, nella speranza di riuscire a realizzare una società autenticamente libertaria senza creare una sfera pubblica, partendo da una politica elettorale che coinvolga la base e che si fondi sulla costituzione di assemblee a democrazia diretta. è questa, io credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario. Se non siete d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo di usare un'etichetta diversa per le vostre idee: lasciate stare il nome di "municipalismo libertario" e seguite la vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative, se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare i miei critici di non contaminare le idee che non apprezzano e nello stesso tempo affermano di sostenere. Grazie

Murray Bookchin

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