domenica 16 gennaio 2011

La commedia della femmina e la tragedia della donna _ di Camillo Berneri


PREFAZIONE
Vi sono dei libri classici sul problema dell'emancipazione della donna, e queste poche e modeste pagine potranno apparire inutili di fronte alle moltissime dotte, acute, brillanti. Invece non sono, chè mi rivolgo al pubblico che non legge libri in biblioteca e non compera libri che costano più di dieci lire. La mia, inoltre, non è una semplice volgarizzazione. Se non è una battaglia, è almeno una scaramuccia, contro i chiacchieroni della emancipazione femminile e contro le virago.
Nel novanta per cento degli scritti e dei discorsi sulla questione della donna, la donna non c'entra, o meglio, c'entra come angelo, o come mammifero da letto. I romanzieri sfruttano l'eterno articolo del giorno, ammanendolo con salse piccanti. I moralisti non sanno che litaniare: o tempora, o mores! I sociologi scrivono dei volumi che pochi leggono e pochissimi capiscono. I medici, gli igienisti riducono tutto al capitolo: organi sessuali. Molta gente inghiotte gli aforismi dei vari Pitigrilli e li rigurgida nel crocchio degli amici. Molti sono fermi alle lapalissiane audacie del Nordau. E via di seguito.
Io prendo per il collo la gente stupida e spiritosa e la sbatto contro dei dati di fatto. Certe pagine sono irte di cifre. Altre sono quasi letterarie. Ho cercato di parlare col cuore e al cervello del lettore; ha scritto «con intelletto d'amore».
La coscienza di aver compiuto una buona azione, mi ha permesso di vincere la riluttanza a pillolizzare una trattazione che sarei stato portato a condurre con larghezza e mi permette di licenziare queste pagine, mentre mi tratterrebbe dal farlo la consapevolezza dei loro difetti di forma e di trattazione.


Cap. I
LA COMMEDIA DELLA FEMMINA E LA TRAGEDIA DELLA DONNA.
La garçonne tipica è la femmina che vuole mascolinizzarsi. È femminista, perché vuole somigliare all'uomo. Si crede libera, perché è scimmia. Non si avvede che tra la donna e l'uomo ci sono differenze psichiche irriducibili quanto quelle fisiche. Non vuole attuare in sé una vita superiore a quella della donna comune ma, passivamente onesta e schiavescamente laboriosa, vuole conquistare la libertà volgare del maschio: quello di fare i propri comodi sessuali. Da questa lebbra di modernità scaturisce l'ermafrodito fenomeno delle “emancipate”. Fenomeno che sarebbe impressionante fino a portare alle più apocalittiche previsioni sociali e morali, se la cosa non si risolvesse, nella generalità dei casi, in una truccatura. La garçonne è femmina, suo malgrado. Può radersi i capelli, può portare il colletto inamidato e i polsini, può arrivare a vestire i pantaloni, ma non rinuncerà a dipingersi le labbra, ad incipriarsi, a bistrarsi gli occhi, ad ossigenarsi. Non potrà non fermarsi davanti alle vetrine di moda, non osservare le tolette delle passanti, non camminare con passo ancheggiante. E, moralmente, rimarrà donna, anche se femmina aspirante maschio. Nonostante la spregiudicatezza arrossirà per superflui pudori, nonostante la maschera di maschile cinismo una confusa nostalgia, una sensazione viva di manchevolezza, di fastidio, rimarrà in lei e la tormenterà. Non sarà una piaga profonda ed aperta, sarà uno di quei piccoli calli che si fanno sentire dopo una camminata, ma la felicità non la troverà nella variabilità degli uomini, nelle grasse libertà del parlare, nelle oscene complicazioni erotiche. L'emancipata si compiacerà dei molti corteggiatori irretiti nel giuoco degli sguardi magnetici e dei dialoghi avviluppanti, ma quando amerà, comincerà a soffrire della gelosia, e ritornerà donna. Quando amerà, vorrà l'illusione di essere unica per l'amato, di darsi per sempre e non per un giorno, o per un mese. Ma ci sono anche le femministe che meritano il titolo di: donne del terzo sesso.
 Esse sono cerebrali, e parlano a nome delle donne tutte, riducendo il problema dell'emancipazione della donna alla proclamazione dei diritti del letto. Fra queste vi è donna Paola, che nel suo Io e il mio lettore(1), scrive: «Un tempo, la donna non pensava ad invocar diritti nelle faccende della sua alcova. Oggi, non le bastano quelli che ella invoca, riferentesi alla sua vita sociale; ma son precisamente i diritti che si riferiscono alla sua vita sessuale, quelli che l'assillano di più». Il lato sessuale della questione femminile è importante, ma un problema sessuale a sé non esiste per l'uomo e tanto meno per la donna. Donna Paola è la femminista che parla pro domo sua, che vorrebbe peccare senza l’impaccio del giudizio, cioè dei pregiudizi del suo mondo. Infatti, in un'altro punto del libro essa dice: «Puritana, io!? Ma io l'adoro il peccato, e dichiaro che senza lo spasimo del suo dolcissimo fascino la vita non varrebbe un centesimo bucato. Il peccato!... Ma sapete voi che l'inferno è fatto del rammarico di tutti i peccati, che non si sono commessi; di tutte le occasioni di peccare, che si sono lasciate perdere, stupidamente, come se la giovinezza fosse eterna e la vita immortale».
  E, all'interlocutore che domanda: — Perché vi siete scagliata tanto contro l’immoralità del nostro tempo? — Donna Paola risponde: «Signor mio; se può piacervi, io posso dimostrarvi che sono disposta ad essere più immorale della società». Qui ci vorrebbero i puntini, come in certi romanzi. Ma sarebbero una malignità, che Donna Paola, se l'interlocutore l'avesse presa alla lettera, lo avrebbe messo alla porta. Una signora intellettuale, per rivendicare i diritti dell'alcova, va per le lunghe.
Scrive perfino un libro di alcune centinaia di pagine, fonda un giornale, partecipa a venti congressi femministi.
Per molte femministe si può dire che la questione dell'emancipazione della donna è una questione di temperamento. Esempio classico quello della Sand che, volubile in amore quanto insaziabile, giunse a sostenere che ciò che costituisce l'adulterio femminile non è l’ora che la donna concede all'amante, ma la notte che ella passa in seguito nelle braccia del marito. Cosa vera, psicologicamente parlando, ma vile, poiché la libertà nella frode è cosa che solo alle letterate romantico decadenti può parere esaltabile.
Se vi sono donne che pensano con la parte più femminile del loro corpo, vi sono uomini che pensano con l'organo corrispondente. I paradossi pitigrilleschi non sono al di sopra delle scritte sulle latrine universitarie. È un andazzo di molti scrittori l'esagerare la corruzione odierna per porre in soffitta, come anacronismi romantici e pedanterie moraliste, quei criteri valutativi e quei principii pratici che vorrebbero riportare la femmina alla donna. Tra costoro vi è Mario Mariani, che posa a «Marat della letteratura» ammanendo porcherie e sciocchezze di questo genere: «la donna completamente fedele non è una donna; è una capra impastoiata, è una cagna al guinzaglio..., una impiegata che ha paura di perdere il posto»; «soltanto le brutte e le insipide sono oneste».
È inutile snocciolare altri esempi. Ce ne sarebbe da fare un volume, sulla delinquenza letteraria.
Tale è questa fioritura di scritti che, mentre mirano alle forti tirature, assumono pretenziosi toni igienisti e sociologici, che fanno colpo sui giovani e contribuiscono a ribadire e a diffondere quegli equivoci, quelle banalità, quei pretesti che i più degli uomini amano ripetere per sciocca smania di far dello spirito ed amano ripetersi per tacitare quei rimorsi e respingere quegli scrupoli che sorgono dal fondo della coscienza.
Così la donna è destinata ad essere bistrattata dai puritani e dagli immoralisti, dai conservatori e dai sedicenti rivoluzionari. Ma i primi la trattano meno male. Almeno la idealizzano. Chi la vorrebbe, come il Giuliotti, a filare la lana, a figliare una volta all'anno, a fare la monaca delle marmitte, vuole che la donna inaridisca in una rinuncia continua ed anacronistica. Ma almeno non viola interamente la natura spirituale della donna, almeno non misconosce e non infanga la sua dignità di vestale della casa e del mondo. Ma coloro che, invece, identificano la donna emancipata con la femmina in cerca di maschi per un'ora di libertà in albergo, coloro che vorrebbero la donna imputtanisse, sono dei ruffiani. La donna sceglie tout court e per un'ora, l'amante, o è una emancipata da romanzo pornografico, o è una puttana dilettante. Come vive quest'emancipata? Lavora? Si dà gratis, o a pagamento? Ha figli? Prende marito?
Inutile esaminare il problema dell'emancipata solo nel sesso. Non può essere che una femmina volgare, o una figura da romanzo. La realtà ci offre la donna che, dopo aver avuto amanti, non ha nipoti che le diano o le rinnovino la maternità; la donna che impazzisce o si uccide perché il sogno di una famiglia sua s'è dileguato: la donna che intristisce, perché l'amore non la guarda, non la vuole. Tutte le fanciulle sono fioraie dell'amore? Tutte le maritate sono capaci di recitare la pochade dell'adulterio? Tutte le donne senz'amore sono disposte ad accontentarsi del maschio in calore? No.
Dunque il problema dell'emancipazione femminile non si può sdraiare su di un letto o sopra un divano.
C'è la famiglia di mezzo, che non è tutta, né sempre, una menzogna convenzionale, ma il bisogno di molti uomini, il sogno di molte donne, la gioia di tante coppie, la luce e il calore di gran parte della vita sociale.
Alla donna si offre una camera d'albergo e i bimbi si mettono al befotrofio! Troppo semplice, troppo bestiale soluzione per coloro che non sono né letterati, né dei Campanella, né braccatori di femmine.
Scucisca la donna la camicia di Nesso di una forzata castità, sia madre senza marito, sia moglie separata, sia quel che vuole. Non vorrei certo fosse aggravata la sua naturale schiavitù dal peso dei pregiudizi, né tormentata dai rimorsi del rigorismo fariseo.
Ma la libertà mi pare formula equivoca, programma generico, parola vana quando penso a che cosa la donna aspira, nell'amore, e a che cosa diventa la donna, quando nell'amore non ha più che il desiderio e la soddisfazione della femmina.
Se mostrerò indulgenza per la donna, sarà perché con Heine sono disposto a ripetere: «Oh, le donne! Noi dobbiamo perdonar loro molto, perché amano molto». Se esalterò la missione della donna, non cadrò nel retorico femminismo che l'adula, poiché credo che se le sorti dell'umanità sono, in gran parte, racchiuse nel cavo delle mani della donna, non siano le mani troppo morbide e levigate della donna oziosa, o quelle troppo ruvide e incallite della schiava della casa o dell'officina quelle che possono porre in un terreno nuovo il germe della futura generazione. L'emancipazione  della donna risulterà dall'emancipazione di tutto il genere umano. Ma, intanto, bisogna finirla con quell'equivoco mascolinismo femminile che sdottoreggia e flirta nei salotti delle signore e con quel volgare femminismo maschile che brutalizza la donna per assicurarsi la femmina.
Niente apologie, niente madrigali, niente paradossi, niente programmoni. Io non sono né un conferenziere da Lyceum femminile, né un letterato da copertine chiuse, né uno che scrive sulle pareti delle latrine o per il gran pubblico. Sono semplicemente un uomo che non crede morta né ridicola la donna onesta, che conosce la sanità spirituale che è nella famiglia, che pensa e sente la questione femminile come uno dei principali e più gravi aspetti del problema sociale. Per questo non posso infilare paradossi e schioccare spiritosaggini. La commedia della garçonne mi pare grottesca.
Dietro la maschera della femmina vedo il volto tragico della donna.



(da "l'emancipazione della donna (considerazioni di un anarchico)"

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