domenica 16 gennaio 2011

La commedia della femmina e la tragedia della donna _ di Camillo Berneri


PREFAZIONE
Vi sono dei libri classici sul problema dell'emancipazione della donna, e queste poche e modeste pagine potranno apparire inutili di fronte alle moltissime dotte, acute, brillanti. Invece non sono, chè mi rivolgo al pubblico che non legge libri in biblioteca e non compera libri che costano più di dieci lire. La mia, inoltre, non è una semplice volgarizzazione. Se non è una battaglia, è almeno una scaramuccia, contro i chiacchieroni della emancipazione femminile e contro le virago.
Nel novanta per cento degli scritti e dei discorsi sulla questione della donna, la donna non c'entra, o meglio, c'entra come angelo, o come mammifero da letto. I romanzieri sfruttano l'eterno articolo del giorno, ammanendolo con salse piccanti. I moralisti non sanno che litaniare: o tempora, o mores! I sociologi scrivono dei volumi che pochi leggono e pochissimi capiscono. I medici, gli igienisti riducono tutto al capitolo: organi sessuali. Molta gente inghiotte gli aforismi dei vari Pitigrilli e li rigurgida nel crocchio degli amici. Molti sono fermi alle lapalissiane audacie del Nordau. E via di seguito.
Io prendo per il collo la gente stupida e spiritosa e la sbatto contro dei dati di fatto. Certe pagine sono irte di cifre. Altre sono quasi letterarie. Ho cercato di parlare col cuore e al cervello del lettore; ha scritto «con intelletto d'amore».
La coscienza di aver compiuto una buona azione, mi ha permesso di vincere la riluttanza a pillolizzare una trattazione che sarei stato portato a condurre con larghezza e mi permette di licenziare queste pagine, mentre mi tratterrebbe dal farlo la consapevolezza dei loro difetti di forma e di trattazione.


Cap. I
LA COMMEDIA DELLA FEMMINA E LA TRAGEDIA DELLA DONNA.
La garçonne tipica è la femmina che vuole mascolinizzarsi. È femminista, perché vuole somigliare all'uomo. Si crede libera, perché è scimmia. Non si avvede che tra la donna e l'uomo ci sono differenze psichiche irriducibili quanto quelle fisiche. Non vuole attuare in sé una vita superiore a quella della donna comune ma, passivamente onesta e schiavescamente laboriosa, vuole conquistare la libertà volgare del maschio: quello di fare i propri comodi sessuali. Da questa lebbra di modernità scaturisce l'ermafrodito fenomeno delle “emancipate”. Fenomeno che sarebbe impressionante fino a portare alle più apocalittiche previsioni sociali e morali, se la cosa non si risolvesse, nella generalità dei casi, in una truccatura. La garçonne è femmina, suo malgrado. Può radersi i capelli, può portare il colletto inamidato e i polsini, può arrivare a vestire i pantaloni, ma non rinuncerà a dipingersi le labbra, ad incipriarsi, a bistrarsi gli occhi, ad ossigenarsi. Non potrà non fermarsi davanti alle vetrine di moda, non osservare le tolette delle passanti, non camminare con passo ancheggiante. E, moralmente, rimarrà donna, anche se femmina aspirante maschio. Nonostante la spregiudicatezza arrossirà per superflui pudori, nonostante la maschera di maschile cinismo una confusa nostalgia, una sensazione viva di manchevolezza, di fastidio, rimarrà in lei e la tormenterà. Non sarà una piaga profonda ed aperta, sarà uno di quei piccoli calli che si fanno sentire dopo una camminata, ma la felicità non la troverà nella variabilità degli uomini, nelle grasse libertà del parlare, nelle oscene complicazioni erotiche. L'emancipata si compiacerà dei molti corteggiatori irretiti nel giuoco degli sguardi magnetici e dei dialoghi avviluppanti, ma quando amerà, comincerà a soffrire della gelosia, e ritornerà donna. Quando amerà, vorrà l'illusione di essere unica per l'amato, di darsi per sempre e non per un giorno, o per un mese. Ma ci sono anche le femministe che meritano il titolo di: donne del terzo sesso.
 Esse sono cerebrali, e parlano a nome delle donne tutte, riducendo il problema dell'emancipazione della donna alla proclamazione dei diritti del letto. Fra queste vi è donna Paola, che nel suo Io e il mio lettore(1), scrive: «Un tempo, la donna non pensava ad invocar diritti nelle faccende della sua alcova. Oggi, non le bastano quelli che ella invoca, riferentesi alla sua vita sociale; ma son precisamente i diritti che si riferiscono alla sua vita sessuale, quelli che l'assillano di più». Il lato sessuale della questione femminile è importante, ma un problema sessuale a sé non esiste per l'uomo e tanto meno per la donna. Donna Paola è la femminista che parla pro domo sua, che vorrebbe peccare senza l’impaccio del giudizio, cioè dei pregiudizi del suo mondo. Infatti, in un'altro punto del libro essa dice: «Puritana, io!? Ma io l'adoro il peccato, e dichiaro che senza lo spasimo del suo dolcissimo fascino la vita non varrebbe un centesimo bucato. Il peccato!... Ma sapete voi che l'inferno è fatto del rammarico di tutti i peccati, che non si sono commessi; di tutte le occasioni di peccare, che si sono lasciate perdere, stupidamente, come se la giovinezza fosse eterna e la vita immortale».
  E, all'interlocutore che domanda: — Perché vi siete scagliata tanto contro l’immoralità del nostro tempo? — Donna Paola risponde: «Signor mio; se può piacervi, io posso dimostrarvi che sono disposta ad essere più immorale della società». Qui ci vorrebbero i puntini, come in certi romanzi. Ma sarebbero una malignità, che Donna Paola, se l'interlocutore l'avesse presa alla lettera, lo avrebbe messo alla porta. Una signora intellettuale, per rivendicare i diritti dell'alcova, va per le lunghe.
Scrive perfino un libro di alcune centinaia di pagine, fonda un giornale, partecipa a venti congressi femministi.
Per molte femministe si può dire che la questione dell'emancipazione della donna è una questione di temperamento. Esempio classico quello della Sand che, volubile in amore quanto insaziabile, giunse a sostenere che ciò che costituisce l'adulterio femminile non è l’ora che la donna concede all'amante, ma la notte che ella passa in seguito nelle braccia del marito. Cosa vera, psicologicamente parlando, ma vile, poiché la libertà nella frode è cosa che solo alle letterate romantico decadenti può parere esaltabile.
Se vi sono donne che pensano con la parte più femminile del loro corpo, vi sono uomini che pensano con l'organo corrispondente. I paradossi pitigrilleschi non sono al di sopra delle scritte sulle latrine universitarie. È un andazzo di molti scrittori l'esagerare la corruzione odierna per porre in soffitta, come anacronismi romantici e pedanterie moraliste, quei criteri valutativi e quei principii pratici che vorrebbero riportare la femmina alla donna. Tra costoro vi è Mario Mariani, che posa a «Marat della letteratura» ammanendo porcherie e sciocchezze di questo genere: «la donna completamente fedele non è una donna; è una capra impastoiata, è una cagna al guinzaglio..., una impiegata che ha paura di perdere il posto»; «soltanto le brutte e le insipide sono oneste».
È inutile snocciolare altri esempi. Ce ne sarebbe da fare un volume, sulla delinquenza letteraria.
Tale è questa fioritura di scritti che, mentre mirano alle forti tirature, assumono pretenziosi toni igienisti e sociologici, che fanno colpo sui giovani e contribuiscono a ribadire e a diffondere quegli equivoci, quelle banalità, quei pretesti che i più degli uomini amano ripetere per sciocca smania di far dello spirito ed amano ripetersi per tacitare quei rimorsi e respingere quegli scrupoli che sorgono dal fondo della coscienza.
Così la donna è destinata ad essere bistrattata dai puritani e dagli immoralisti, dai conservatori e dai sedicenti rivoluzionari. Ma i primi la trattano meno male. Almeno la idealizzano. Chi la vorrebbe, come il Giuliotti, a filare la lana, a figliare una volta all'anno, a fare la monaca delle marmitte, vuole che la donna inaridisca in una rinuncia continua ed anacronistica. Ma almeno non viola interamente la natura spirituale della donna, almeno non misconosce e non infanga la sua dignità di vestale della casa e del mondo. Ma coloro che, invece, identificano la donna emancipata con la femmina in cerca di maschi per un'ora di libertà in albergo, coloro che vorrebbero la donna imputtanisse, sono dei ruffiani. La donna sceglie tout court e per un'ora, l'amante, o è una emancipata da romanzo pornografico, o è una puttana dilettante. Come vive quest'emancipata? Lavora? Si dà gratis, o a pagamento? Ha figli? Prende marito?
Inutile esaminare il problema dell'emancipata solo nel sesso. Non può essere che una femmina volgare, o una figura da romanzo. La realtà ci offre la donna che, dopo aver avuto amanti, non ha nipoti che le diano o le rinnovino la maternità; la donna che impazzisce o si uccide perché il sogno di una famiglia sua s'è dileguato: la donna che intristisce, perché l'amore non la guarda, non la vuole. Tutte le fanciulle sono fioraie dell'amore? Tutte le maritate sono capaci di recitare la pochade dell'adulterio? Tutte le donne senz'amore sono disposte ad accontentarsi del maschio in calore? No.
Dunque il problema dell'emancipazione femminile non si può sdraiare su di un letto o sopra un divano.
C'è la famiglia di mezzo, che non è tutta, né sempre, una menzogna convenzionale, ma il bisogno di molti uomini, il sogno di molte donne, la gioia di tante coppie, la luce e il calore di gran parte della vita sociale.
Alla donna si offre una camera d'albergo e i bimbi si mettono al befotrofio! Troppo semplice, troppo bestiale soluzione per coloro che non sono né letterati, né dei Campanella, né braccatori di femmine.
Scucisca la donna la camicia di Nesso di una forzata castità, sia madre senza marito, sia moglie separata, sia quel che vuole. Non vorrei certo fosse aggravata la sua naturale schiavitù dal peso dei pregiudizi, né tormentata dai rimorsi del rigorismo fariseo.
Ma la libertà mi pare formula equivoca, programma generico, parola vana quando penso a che cosa la donna aspira, nell'amore, e a che cosa diventa la donna, quando nell'amore non ha più che il desiderio e la soddisfazione della femmina.
Se mostrerò indulgenza per la donna, sarà perché con Heine sono disposto a ripetere: «Oh, le donne! Noi dobbiamo perdonar loro molto, perché amano molto». Se esalterò la missione della donna, non cadrò nel retorico femminismo che l'adula, poiché credo che se le sorti dell'umanità sono, in gran parte, racchiuse nel cavo delle mani della donna, non siano le mani troppo morbide e levigate della donna oziosa, o quelle troppo ruvide e incallite della schiava della casa o dell'officina quelle che possono porre in un terreno nuovo il germe della futura generazione. L'emancipazione  della donna risulterà dall'emancipazione di tutto il genere umano. Ma, intanto, bisogna finirla con quell'equivoco mascolinismo femminile che sdottoreggia e flirta nei salotti delle signore e con quel volgare femminismo maschile che brutalizza la donna per assicurarsi la femmina.
Niente apologie, niente madrigali, niente paradossi, niente programmoni. Io non sono né un conferenziere da Lyceum femminile, né un letterato da copertine chiuse, né uno che scrive sulle pareti delle latrine o per il gran pubblico. Sono semplicemente un uomo che non crede morta né ridicola la donna onesta, che conosce la sanità spirituale che è nella famiglia, che pensa e sente la questione femminile come uno dei principali e più gravi aspetti del problema sociale. Per questo non posso infilare paradossi e schioccare spiritosaggini. La commedia della garçonne mi pare grottesca.
Dietro la maschera della femmina vedo il volto tragico della donna.



(da "l'emancipazione della donna (considerazioni di un anarchico)"

sabato 8 gennaio 2011

ZEITGEIST ADDENDUM _ i "killer economici", sicari del Nuovo Impero


"Noi, killer economici, siamo stati i veri responsabili della creazione di questo primo impero globale
lavorando in diversi modi."
                                    (John Perkins, Ex-economista capo per la Chas. T. Main Inc., autore di "Confessioni di un killer economico")

"ma probabilmente il più comune era quello di identificare un paese che aveva risorse, che la nostra società desiderava, come il petrolio, dopodiché facevamo concedere enormi prestiti a quel paese, dalla Banca Mondiale o da una delle sue organizzazioni collaterali, ma il denaro in verità non arrivava mai a quel paese andava invece a quel gruppo di società per la costruzione di progetti di infrastrutture di quello stesso paese.
Impianti energetici, siti industriali, porti...cose di cui beneficiava una cerchia ristretta di persone ricche di quel paese oltre alle nostre multinazionali; ma di sicuro non ne beneficiava affatto il popolo. Comunque, tutta quella gente e l'intero paese venivano lasciati con un enorme debito.
Un debito così grande da non poter essere ripagato; ed era esattamente questo l'obiettivo, far in modo che non potessero ripagarlo.
Quindi ad un certo punto noi, killer economici, tornavamo e gli dicevamo "Sentite,"
"avete perso molto denaro, non potete pagare il vostro debito, quindi vendete il petrolio a prezzi molto bassi"
"alle nostre compagnie petrolifere," "lasciateci costruire basi militari nella vostra nazione,"
"o mandate delle truppe in supporto alle nostre in qualche posto del mondo come l'Iraq o votate come noi nella prossima votazione ONU,"
"fate privatizzare nei vostri paesi le imprese pubbliche"
"dei servizi idrici ed elettrici e fatele vendere alle società degli Stati Uniti o"
"ad altre multinazionali."
Quindi, è una cosa che si espande a macchia d'olio, ed è il modo tipico di agire del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale: fanno indebitare quei paesi in modo che non possano pagare il debito, dopodiché offrono il rifinanziamento di quel debito facendo pagare interessi ancor maggiori.
E si chiede in cambio un corrispettivo chiamate "conditionality" o "good governance" che significa fondamentalmente che devono svendere le loro risorse, compresi molti dei loro servizi sociali, le imprese dei servizi pubblici, alcune volte il loro sistema scolastico, il loro sistema giuridico, quello assicurativo, affinché si costruiscano le società straniere.
Quindi è il doppio, il triplo, il quadruplo di quello che cercano di ottenere!
La creazione dei killer economici risale ai primi anni '50 quando il presidente, Mossadegh, venne eletto democraticamente in Iran.
Era considerato la speranza per la democrazia  nel medio oriente e in tutto il mondo. Fu l'uomo dell'anno per il Time Magazine.
Ma... una cosa che dichiarava di continuo e che mise anche in pratica, era l'idea che le compagnie petrolifere straniere dovevano pagare il popolo iraniano molto di più per il petrolio che prelevavano dall'Iran e il popolo iraniano doveva trarne benefici da questo. Una politica strana.
Non ci piaceva naturalmente. Ma avevamo paura di fare quello che facevamo di solito, cioè inviare l'esercito.
Mandammo invece un agente della CIA, Kermit Roosevelt, un parente di Teddy Roosevelt.
E con l'impiego di pochi milioni di dollari risultò molto efficace ed efficiente; ed in poco tempo riuscì a rovesciare il governo di Mossadegh e riporto lo Shaha in Iran per rimpiazzarlo, il quale era sempre stato favorevole alle politiche del petrolio. E fu davvero efficace."
"Città straripanti di gente ufficiali dell'esercito gridano che Mossadeg si è arreso e il suo regime di dittatura dell'Iran è finito.
Immagini dello Shah sfilano per le strade e gli umori della gente cambiano.
Lo Shah viene accolto nuovamente a casa."
Così negli Stati Uniti, a Washington, la gente si guardò negli occhi e disse: "wow, questo è facile ed economico!".
Quindi tutto questo diede inizio ad un nuovo modo di manipolare i paesi in modo da creare degli imperi.
L'unico problema con Roosevelt era che era un agente affiliato della CIA e se fosse stato catturato le conseguenze avrebbero potuto essere piuttosto serie.
Quindi, molto velocemente si decise che bisognava affidarsi a consulenti privati per distribuire il denaro attraverso la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale... o una delle altre agenzie;
bisognava assoldare gente come me che lavorava per società private.
Quindi se fossimo stati smascherati non ci sarebbero state conseguenze per il governo.
Quando Arbenz divenne presidente in Guatemala, il paese era sotto l'influenza della United Fruit Company, una grande multinazionale e Arbenz si candidò affermando: "Come sapete, vogliamo ridare le terre al popolo".
E una volta preso il potere iniziò ad introdurre politiche che facevano esattamente questo, restituire le terre alla gente. Alla United Fruit non piacque affatto.
Quindi incaricarono una grande impresa di pubbliche relazioni di condurre un'enorme campagna negli USA per convincere la gente negli Stati Uniti, i cittadini, la stampa americana, ed il congresso degli Stati Uniti, che Arbenz era un burattino dei sovietici e che se gli avessimo consentito di rimanere al potere i sovietici avrebbero avuto un punto d'appoggio in questo emisfero.
E perciò, da quel momento in poi, si diffuse una grande paura nella vita di tutti del terrore rosso, del terrore comunista e quindi, riassumendo questa lunga storia, tutta questa campagna di pubbliche relazioni venne fatta con il coinvolgimento di parte della CIA e i militari fecero cacciare quest'uomo.
Ed in effetti è quello che fu fatto, abbiamo mandato loro aerei, soldati, infiltrati, abbiamo mandato tutto per farlo fuori. E ci siamo riusciti in effetti.
E non appena fu rimosso dalla sua carica, il nuovo dovette risistemare le cose dopo di lui fondamentalmente ri-concedendo tutto alle multinazionali, inclusa la United Fruit.
L'Ecuador è stato governato per molti anni da dittatori filo-americani, spesso decisamente brutali.
Dopodiché si decise che doveva tenersi un'elezione democratica.
Jaime Roldos si candidò e disse che il suo obiettivo principale come Presidente sarebbe stato di assicurarsi che le risorse dell'Ecuador fossero usate per aiutare il popolo.
E vinse. In modo schiacciante.
Jaime Roldos non era nessuno, non aveva mai vinto niente in Ecuador.
Ed iniziò a mettere in atto queste politiche.
Voleva essere sicuro che i profitti del petrolio fossero utilizzati per aiutare la gente.
Bene... questo non piace agli Stati Uniti.
Fui mandato laggiù assieme ad altri numerosi killer per cambiare Roldos, per corromperlo, per persuaderlo, per fargli sapere
"Ok, tu puoi diventare molto ricco, tu e la tua famiglia se fai il nostro gioco."
"Ma se continui a perseguire queste politiche che hai promesso te ne andrai."
Non mi voleva sentire...
Fu assassinato...
Non appena ci fu l'incidente aereo l'intera zona venne circondata.
Le uniche persone che potevano accedervi erano militari statunitensi di una base militare nelle vicinanze e i militari ecuadoriani.
Quando le indagini andarono avanti, due dei testimoni chiave morirono in incidenti stradali prima di poter rilasciare le loro testimonianze.
Molte cose strane accaddero attorno all'assassinio di Jamie Roldos.
Io, come molti che hanno esaminato questi eventi, non ho alcun dubbio che si sia trattato di un omicidio.
E ovviamente nella mia posizione di killer economico mi aspettavo che sarebbe accaduto qualcosa a Jaime, non ero sicuro che si arrivasse ad un assassinio a sangue freddo, ma lo ero dal fatto che
venisse cacciato, in quanto non poteva essere corrotto. Non si sarebbe lasciato corrompere nel modo in cui avremmo voluto.
Omar Torrijos, il presidente del Panama, era una delle persone che preferivo. Mi piaceva molto incontrarlo.
Era molto carismatico, era un uomo che voleva davvero aiutare il suo paese.
Quando provai a "comprarlo", a corromperlo, mi disse: "Guarda John"... - mi chiamava Juanito -
disse: "Guarda Juanito, non ho bisogno di soldi. Quello che mi serve è che il mio paese sia trattato in modo leale."
"Voglio che agli Stati Uniti venga pagato il debito per le infrastrutture che avete fatto qui,"
"voglio essere nella posizione di poter aiutare altri paesi latinoamericani"
"quando diventeranno indipendenti e si libereranno"
"di questa terribile presenza del nord."
"Voi ci state sfruttando in un modo così crudele..."
"dobbiamo ridare il Canale di Panama di nuovo nelle mani del popolo panamense."
"Questo è quello che voglio."
"Quindi, lasciami in pace, non provare a comprarmi."
Era il 1981 e a Maggio Jamie Roldos venne assassinato e Omar ne era ben consapevole di questo.
Torrijos fece riunire la sua famiglia e gli disse:
"Sono probabilmente il prossimo, ma va bene così,"
"perché ho fatto quello che intendevo fare,"
"rinegoziare il possesso del Canale."
"Il Canale non ritornerà nelle nostre mani se si finisce solo per discutere delle trattative con Jimmy Carter."
Nel Giugno di quello stesso anno, solo un paio di mesi dopo, anche lui morì in un incidente aereo,
e senza dubbio venne ucciso da killer assoldati dalla CIA.
Passando inosservato una delle guardie  del corpo di Torijos gli consegnò pochi attimi prima di salire sull'aereo un registratore,un piccolo registratore che conteneva una bomba.
Per me è interessante come questo sistema stia continuando allo stesso modo ormai da molti anni,
e come i killer economici diventino sempre più abili.
Veniamo a quello che è successo di recente in Venezuela.
Nel 1998, Hugo Chavez venne eletto Presidente, seguendo una lunga serie di presidenti che furono molto corrotti e che fondamentalmente avevano distrutto l'economia della nazione.
E Chavez venne eletto per lasciarsi alle spalle tutto questo.
Chavez si presentò agli Stati Uniti e fece una prima richiesta affinché il petrolio venezuelano fosse utilizzato anche per aiutare il popolo venezuelano.
Bene... questo non piace agli Stati Uniti.
Così, nel 2002, il colpo di stato, e non c'è dubbio per me e per la maggior parte delle persone che la CIA sia dietro quel colpo di stato.
Il modo con cui il golpe venne fomentato ricorda molto quello che Kermit Roosevelt aveva fatto in Iran.
Pagare persone per riversarsi in strada, per insorgere, protestare, per dire che Chavez era molto impopolare.
Sapete, se potete raggruppare poche migliaia di persone che lo fanno, e li fate riprendere dalle TV,
potete farli sembrare come l'intera nazione.
Eccetto per Chavez in questo caso, lui era abbastanza intelligente e la gente era dalla sua parte, così fortemente, che riuscirono a sconfiggerli.
Ed è stato un momento fenomenale per la storia dell'America latina.
L'Iraq in realtà rappresenta un perfetto esempio di come l'intero sistema funziona. Noi, killer economici, la prima linea di difesa, cerchiamo di corrompere i governi, inducendoli ad accettare questi enormi prestiti, i quali li rendono così bisognosi di fondi da finire praticamente sul lastrico.
Se falliamo, come in Panama con Omar Torrijos ed Ecuador con Jaime Roldos, uomini che rifiutavano la corruzione, allora si attivava la seconda linea di difesa, cioè quella di inviare degli infiltrati, degli sciacalli, che rovesciano il governo o uccidevano.
Ed una volta che questo accade, e si insedia un nuovo governo, gli si dirà quale deve essere nuova linea da seguire, affinché il nuovo presidente la conosca, nel caso non la sappia già.
E nel caso dell'Iraq, entrambe queste cose fallirono.
I killer economici non riuscirono ad arrivare a Saddam Hussein provammo ad indurlo ad accettare l'accordo che, invece, la Casa Reale dei Sauditi aveva accettato, in Arabia Saudita, ma lui non volle.
E quindi arrivarono gli infiltrati per farlo fuori, e non ci riuscirono. La sua sicurezza era molto buona.
Dopo tutto lui una volta aveva lavorato per la CIA.
Era stato ingaggiato per assassinare un ex presidente dell'Iraq (Qassim) e fallì, ma conobbe il sistema.
Così nel '91, abbiamo mandato le nostre truppe ed abbiamo neutralizzato l'Iraq militarmente.
Pensavamo a quel punto che Saddam Hussein sarebbe sceso a patti.
Non avremmo potuto rimuoverlo, all'epoca, ovviamente noi vogliamo questi uomini forti, ci piacciono, perché controllano la gente. Pensammo che potesse controllare i curdi, mantenere gli iraniani oltre il confine e continuare a produrre petrolio per noi. E che una volta tenuti questi militari,
sarebbe sceso a patti.
Per questo i killer ritornarono negli anni '90 senza alcun successo.
Se avessero avuto successo sarebbe ancora al potere nel suo paese. Gli venderemmo tutti gli aerei caccia che vuole, tutto ciò che vuole, ma non ci riuscirono, non ebbero successo.
Gli infiltrati non riuscirono ancora a farlo fuori, così mandammo nuovamente l'esercito e questa volta abbiamo completato l'opera e l'abbiamo fatto fuori. Con una operazione creata per i nostri obiettivi con accordi per la ricostruzione davvero molto redditizi.
E ricostruire nazioni che abbiamo praticamente distrutto è un affare davvero grande, se siete proprietari di una grande impresa di costruzioni, molto grande.
Quindi nell'Iraq si sono viste le tre fasi:
i killer che hanno fallito, gli infiltrati anche. E quindi il rimedio finale, viene inviato l'esercito.
Ed in quel modo noi abbiamo davvero creato un impero, ma non lo abbiamo fatto rapidamente. E' un impero "clandestino".

venerdì 7 gennaio 2011

Brevi note sulla ristrutturazione del mercato del lavoro in Italia _ parte III


Completano il quadro l’abolizione dei diritti sindacali e della giustizia del lavoro.
Il diritto di sciopero è continuamente compromesso e limitato. Il reato di sciopero previsto dalla legislazione fascista non è mai stato abolito.
La formazione e l’attività sindacale di base, comunque diversa dai sindacali confederali, CGIL, CISL, e UIL, cosiddetti triplice, è impedita e discriminata. C’è un ritorno alle corporazioni fasciste con cui i sindacati della triplice, unici riconosciuti, eseguono le indicazioni del governo ed espletano di fatto un’attività di servizi in favore delle imprese.
L’ordinamento riconosce il diritto agli imprenditori di scegliersi i sindacati,  anche se non rappresentano alcun lavoratore, per le trattative ed i rinnovi contrattuali.
Tali sindacati  non fanno altro che ratificare le decisioni dell’imprenditore, senza affermare le richieste dei lavoratori.
Anche per questo, da oltre venti anni i sindacati della triplice registrano un grave difetto e crisi di rappresentatività che, però, non è considerato dall’ordinamento.
La formazione di sindacati alternativi alla triplice e più rappresentativi dei lavoratori è continuamente ostacolata ed impedita dall’ordinamento anche mediante il mancato riconoscimento dei diritti sindacali sul posto di lavoro che, in pratica, significa bloccare ogni attività sindacale, impedire, quindi, la nascita di nuove associazioni.
L’ordinamento riconosce ai sindacati compiacenti con il datore trattamenti di miglior favore creando una disparità tra sindacati. In sostanza, al sindacato che sostiene i diritti dei lavoratori viene impedito ogni diritto di azione ed agibilità sindacale.
La riforma del diritto dei lavoratori sta passando anche attraverso la “non effettività del diritto” e, cioè, la difficoltà se non l’impossibilità di esercitare il diritto negato al lavoratore.
I tribunali del lavoro sono continuamente colpiti da politiche di svuotamento con la riduzione del personale, dei mezzi, delle risorse e delle strutture. Ciò comporta inevitabilmente l’allungamento dei tempi processuali e l’alterazione della qualità del processo con effetto negativo solo nei confronti del lavoratore visto che è la parte interessata a ricorrere al giudice del lavoro. Per il mancato funzionamento dell’ufficio giudiziario, il lavoratore non può ottenere giustizia di un diritto violato.
La mancanza di giustizia del lavoro comporta l’aumento delle violazioni di legge e dei diritti da parte del datore di lavoro visto che possono facilmente rimanere impunite.
Si assiste ad orientamenti giurisprudenziali sempre più restrittivi sul riconoscimento dei diritti e delle ragioni dei lavoratori. Al lavoratore è richiesta una prova rigida se non diabolica per dimostrare la violazione dei suoi diritti. È orientamento giurisprudenziale, tra l’altro, non punire il datore di lavoro che demansiona il lavoratore il quale difficilmente potrà ottenere un risarcimento ed il ritorno alle proprie mansioni anche in caso di vittoria del giudizio.
Il lavoratore non è solo parte debole nel rapporto di lavoro ma lo è anche nel processo in cui non può disporre di mezzi e prove al pari del datore. Nonostante le difficoltà processuali, l’ordinamento ha previsto l’introduzione di costi e la condanna alle spese a carico del lavoratore. L’obiettivo è quello di scoraggiare il lavoratore e proporre una causa giudiziaria.
Si tende ad esentare i giudici dai loro compiti di controllo e relegarli a funzioni di ratificazione dell’operato discrezionale dei datori di lavoro.
L’introduzione della certificazione del contratto di lavoro con la legge Biagi e del “collegato lavoro” del 2010 ne è una dimostrazione.
Il “collegato lavoro” prevede l’impossibilità di rivolgersi alla Magistratura del Lavoro, organo costituzionale garante di indipendenza ed imparzialità, poiché obbliga i lavoratori a ricorrere alla giustizia privata mediante l’arbitrato le cui decisioni sono frutto dei rapporti di forza della parte più potente e, comunque, mai secondo diritto. Con l’arbitrato il lavoratore non otterrà mai giustizia.
Il “collegato lavoro” prevede, inoltre, la riduzione al minimo delle “pene” in favore dei datori di lavoro in caso di violazione delle norme. Abbiamo visto l’impunità del datore nei casi in cui demansiona il lavoratore. Con la nuova normativa del “collegato”, il datore che si comporta illegittimamente nei confronti del lavoratore subirà insignificanti conseguenze a scapito dei diritti del lavoratore il quale potrà ottenere solo un minimo ed insignificante risarcimento. In questo modo il datore di lavoro può violare la legge – per esempio, assumere con contratti precari, licenziare ingiustamente – correndo il solo rischio di dover pagare una minima somma, mentre il lavoratore perde il posto di lavoro e le retribuzioni.
È in corso la trasformazione del nome stesso della magistratura del lavoro. Prossimamente i giudici saranno chiamati a fare non più i giudici del lavoro, bensì i “magistrati economici”. Saranno, cioè, magistrati sottoposti non alle regole del diritto e ancor meno a quelle a sostegno dei lavoratori, ma alle esigenze dell’economia e del mercato.
ààà
Il governo e il padronato impongono questa politica propagando l’aumento dell’occupazione e la maggiore competitività dei prodotti italiani e minacciando di delocalizzare le aziende in altre parti del mondo (Europa dell’Est, Africa ed oriente asiatico) dove i lavoratori – tra cui bambini – vengono pagati anche con un solo euro al giorno e chi protesta viene anche assassinato.
In sostanza: ci sarà posto di lavoro per tutti; per due soldi ma per tutti.
Sull’abolizione dei diritti dei lavoratori, delle pensioni e della giustizia del lavoro, il capitale italiano sta giocando la propria scommessa anche rispetto ai rapporti con gli altri stati membri della Comunità Europea.
A causa di varie speculazioni subite dal nostro paese da parte dei paesi imperialisti (privatizzazioni, decisioni sul “panfilo Britannia”, tangentopoli, ecc.), non avendo più settori di produzione strategici, il capitalismo italiano cerca attività di profitto con l’offerta di manodopera a basso costo, anche di quella qualificata e specializzata.
 In sostanza propone ai grandi paesi capitalisti (quali U.S.A., Canada, Inghilterra, Francia, Germania ecc.) di non delocalizzare nel paesi del terzo mondo ma in Italia garantendo le stesse condizioni e, cioè, la manodopera a basso costo.
Si tenta di creare in Italia una situazione analoga a quella del sud est asiatico, dell’Africa, dell’Est europeo, dell’America Latina.
Per attuare ciò occorre che i lavoratori italiani non beneficino più dei precedenti diritti ma si accontentino di salari bassi, se non bassissimi, e che non abbiano la possibilità di ricorrere in tribunale. In pratica la possibilità di pagare salari bassi, per il capitalista straniero deve essere una certezza.
Non a caso, con la prospettiva dell’abolizione dei diritti dei lavoratori, delle pensioni e della giustizia del lavoro, si parla già di rilocalizzazione delle imprese dall’estero.
Già negli anni novanta, le riforme in peggio del diritto dei lavoratori veniva motivato con lo scopo di attrarre i capitali stranieri.
Sempre con il medesimo scopo sono motivate le riforme dei nostri giorni. Sono esplicite in tal senso le relazioni del senatore di centro sinistra Pietro Ichino, autore di una generale riforma dei diritti, ben peggiore di quella prospettata dall’ultima iniziativa governativa del marzo 2010, conosciuta come norme sull’arbitrato.
Il giurista Pietro Ichino si spinge oltre all’attrazione dei capitali stranieri e parla di captazione, di creare un motivo di attrazione.
Dietro la lotta alla disoccupazione e le iniziative per lo sviluppo economico si cela l’abolizione dei diritti dei lavoratori.
Le iniziative intraprese dal 1990 ad oggi (legge Treu, Biagi, contratto a termine, arbitrato, ecc.), sono solo misure temporanee e transitorie, necessarie alla graduale attuazione di suddetta abolizione.
L’evoluzione delle riforme del diritto del lavoro non tende a diversificare i vari tipi di rapporto di lavoro (contratto a progetto, a termine, socio cooperativa, compartecipazione, a ritenuta d’acconto, ecc.), giacché si tratta di formulazioni che lasciano il tempo che trovano e che verranno spazzate via non appena si attesterà definitivamente il criterio della flessibilità.
L’esempio può essere dato dalla legislazione “gemella” sulle locazioni. Fino al 1998 venivano stipulati vari tipi di contratto (come, per esempio, uso foresteria, transitorio, seconda casa, ecc.), tutto per eludere la legge sull’equo canone e garantire un canone nero superiore. Nel momento in cui la legge 431/98 ha abolito l’equo canone, il proprietario di casa non ha più l’esigenza di inventarsi e simulare  vari tipi di contratto di locazione. Può legalmente stabilire un canone nero.
Le varie tipologie di contratti di lavoro (progetto, somministrazione, intermittente, a chiamata, a termine, ecc.), sono forme elaborate per eludere tutte le norme poste a tutela del lavoro subordinato, in particolare la retribuzione e la continuità del posto di lavoro. Nel momento in cui si affermerà la legalizzazione del lavoro nero, quindi la flessibilità totale retributiva e di stabilità, non ci sarà più bisogno delle svariate tipologie di lavoro. Al contrario, ci sarà una spinta maggiore alla subordinazione.
È importante discutere delle singole iniziative che i governi approntano quotidianamente, ma è necessario affrontare ed opporsi al progetto globale del capitalismo che prevede l’abolizione totale dei diritti dei lavoratori.

da "Lavoro: che fare?" di Giovanni De Francesco

martedì 4 gennaio 2011

Sul municipalismo libertario _ da una lettera di Murray Bookchin


La cosa più importante è la distinzione che andrebbe fatta tra comunitarismo e municipalismo libertario, una distinzione che spesso va smarrita quando si discute della politica del municipalismo libertario. Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti e a quelle ideologie che aspirano a trasformare la società creando cosiddette alternative nel campo economico e dell'esistenza personale, come le cooperative alimentari, le scuole, le tipografie, i centri comunitari, le aziende agricole di quartiere, gli squats e così via elencando. Tra gli esponenti del comunitarismo, che si ispirano alle opere di Proudhon, ci sono state personalità come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare qualche nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo mira a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanità dalla logica delle imprese private (banche, grandi aziende, supermercati, fabbriche e sistemi industriali in agricoltura) e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono, con imprese pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario" spesso è sostituibile col termine "cooperativo", una forma di produzione e di scambio che risulta attraente non solo perché richiama un senso d'amicizia e di collettivo, ma anche perché è sotto il "controllo operaio" o la "gestione operaia".Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che serva ad abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi in concorrenza, di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere da barriera morale all'avidità e alla malvagità che agli occhi di tanta gente rende così riprovevole l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una politica, ma di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole dimensioni che fanno la "scelta" di acquistare o di lavorare in un'azienda cooperativa. Quando indico in Proudhon uno dei padri del comunitarismo, anche se non è esattissimo, faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa pratica a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior parte della produzione di oggetti era affidata agli artigiani e quella agricola e alimentare a piccoli contadini. Da allora sono nate tante cooperative, animate dalle più ambiziose speranze e destinate in genere a fallire, a vivacchiare o a trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente costrette ad adattarvisi o sono state semplicemente annientate dalla concorrenza di aziende animate da uno spirito di rapina e, nei fatti, più efficienti, ma tutte orientate al profitto.

Un progetto antistatale
Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi sui propri problemi e interessi e, nella misura in cui sono in rapporto tra loro, a puntare tutto sulla propria sopravvivenza o la propria espansione. Soprattutto, capita molto raramente, se mai succede, che diventino centri di potere popolare. Questo in parte perché le questioni attinenti ai pubblici poteri in quanto tali non le toccano e in parte perché non hanno gli strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolgano, a proposito del chi dovrebbe governare la società e del come dovrebbe governarla. Sostenendosi con le idee che esprimono in campo sociale (e, con l'andar del tempo, anche come idee socialmente valide queste sono defunte) sperano di riuscire a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Così, col tempo, tendono a chiudersi in se stesse, a essere settarie e limitate, a riunire in sé non collettivisti ma capitalisti collettivi e, in ultima analisi, a essere più capitaliste che socialiste nella pratica e negli interessi. Il municipalismo libertario, invece, è decisamente un'espressione politica antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto, faccia a faccia, il dialogo, il confronto. è soprattutto attento alle questioni fondamentali del potere. Pone questi interrogativi: dove dovrà sussistere il potere? Quale parte della società dovrà esercitarlo? Quali istituzioni sono necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio del potere non statale? Se è vero che vivere/lavorare in una cooperativa può essere una cosa buona per instillare nelle persone valori, interessi, relazioni di stampo collettivista, le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per l'acquisizione del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine, "istituzioni", perché mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo." Io ritengo che uno slogan del genere crei confusione e disorientamento, perché lascia intendere che le persone politically correct siano individui "autonomi", liberi da ogni obbligo istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali sarebbero una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire il proprio "io autentico" e di realizzarsi. No: è un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono vivere senza istituzioni (spesso perché il loro comportamento è geneticamente condizionato), ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo creativo le strutture sociali, basate non tanto su una supposta genetica o su certe usanze, ma soprattutto su "forme di libertà" (come le definivo già negli anni sessanta) razionalmente costituite che servono a organizzare ed esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale. Perciò, se oggi dovessi riscrivere in forma più estesa il mio articolo The Forms of Freedom, vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni e leggi formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta e aperte al dialogo. In effetti, per molto tempo sono stati gli oppressi a richiedere e a pretendere costituzioni e leggi, quali strumenti di controllo, anzi di eliminazione del potere arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e dittatori. Ignorare questo fatto storico e regredire a un "istinto di solidarietà", a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto di condivisione", significa abbandonare un auspicabilissimo mondo civile per ritirarsi nel mondo della bestialità, optare per una zoologia sociale che non ha senso applicare all'umanità intesa come specie dalle capacità d'innovazione che crea e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo. A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario si preoccupa del potere: non semplicemente del potere di autocontrollo che si può acquisire partecipando a una riunione ispiratrice, ma il potere concreto che si esprime in forme organizzate di libertà, concepite in modo razionale e costituite con modalità democratiche. Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere, non vuole semplicemente sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda e di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo in mano alla gente nelle assemblee popolari. E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare a una comunità basata sui principi del municipalismo libertario bisogna prima prepararle il terreno, cementandola con uno stile di vita basato sulla reciprocità come quello offerto dalle attività cooperative. Fin troppo spesso le cooperative sono diventate fini a se stesse e, quando ce l'hanno fatta, hanno privilegiato gli scopi che rispondevano alle proprie logiche interne, opposte alle comunità per le quali volevano rappresentare un riferimento. Ne ho viste tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli occhi davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura in concorrenza con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte attività "educative", togliendo a tutti i propri associati ogni potere e trasformandoli in semplici clienti. Costrette dal capitalismo ad adottare i metodi dell'organizzazione capitalistica, assumono manager e specialisti del business di un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare i propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni eleganti delle istituzioni virtuose.

Educazione e formazione
Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non affondare nella palude comunitaria, perdendo la propria identità per dedicarsi alla costruzione, al mantenimento e all'espansione di cooperative, indipendentemente dal fatto che questa sia o no una cosa buona. Il municipalismo libertario è il tentativo di recuperare e superare la definizione aristotelica dell'uomo quale animale politico. "L'uomo" o quanto meno, l'uomo greco, nella Politica di Aristotele, è chi vive nella polis, cioè in un municipio e non, come spesso si ritiene erroneamente, una città-stato. È questo uno dei teloi, dei fini dell'uomo, una forma che si attualizza in quanto essere umano. Per esprimersi in termini religiosi, egli è destinato a essere l'abitante della polis, della città, nella misura in cui realizza la propria umanità. I suoi teloi, che comprendono un sistema di leggi (di diritti come di doveri) razionalmente e democraticamente costituito, includono anche la sua facoltà di essere cittadino, vale a dire un essere umano preparato, con una formazione o paideia che dura tutta la vita, in modo da possedere tutte le competenze che servono per assumersi tutti gli impegni di autogoverno. Deve essere capace, intellettualmente come fisicamente, di surrogare tutte le funzioni socio-politiche assunte dallo Stato, in particolare quelle dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati, rappresentanti legislativi e così via. Lo Stato non è liquidato solo istituzionalmente, ma anche soggettivamente, rendendo la gestione della società una faccenda rigorosamente umana. Lo Stato, in sostanza, è sostituito da cittadini liberi e istruiti che, all'interno di assemblee popolari, ne eliminano la pretesa di avere la competenza esclusiva su di sé, che giustifica la propria esistenza col fatto che i suoi costituenti sono bambini ignoranti che hanno bisogno di un "padre" capace di gestire le loro faccende. Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione e una formazione rigorose, anzi la costruzione di un carattere e di un integrità etica, se si deve giustificare la competenza del cittadino (la sua capacità di sostituire lo Stato). È così non solo eliminando lo Stato, ma anche eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose implicano a loro volta non fatui tentativi di "espressione dell'io", spesso di un io appena sbozzato e non ancora formato, ma un processo di apprendimento sistematico, programmato con cura, bene organizzato. L'umanità non può produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa assicura ai giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che si presumono "spontanei", in cui lo studente è chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga somministrata. Proprio questa attenzione alla paideia rende la Repubblica di Platone un'opera così grande nonostante i suoi tanti difetti: in realtà, molti dei testi migliori dalla filosofia greca racchiudono idee su come educare i giovani per farne dei cittadini capaci non solo di riflettere in modo sistematico, ma anche di usare le armi per difendersi e per difendere la democrazia. La democrazia ateniese, vorrei aggiungere, fu raggiunta quando la cavalleria aristocratica fu sostituita dagli opliti, i soldati di fanteria, la guardia civile del quinto secolo avanti Cristo, che assicurò la supremazia del popolo al posto di quella della nobiltà.

La questione del potere
Così, il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di autocontrollo", che sovente altro non è che uno stato di esaltazione emotiva più o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere umani sono costituiti per vivere come "animali politici". è una comunità strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione, fondate su basi razionali e democratiche. è formazione degli individui, membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia. Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle competenze, al potere armato, alle istituzioni democratiche e al metodo che affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo è in grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui lo Stato si è appropriato a spese del potere popolare, con la scusa che i suoi appartenenti sarebbero ragazzini incapaci. È questo il regno della politica, il suo universo reale, che rischia di essere completamente cancellato da una società che sempre più assomiglia a una Disneyland e che ci spinge a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo. Se si lascia che questo regno della politica sia soffocato all'interno di istituzioni e di attività comunitarie, si perde del tutto di vista la necessità di ripristinarlo, anzi si svolge un ruolo bambinesco, se non reazionario, di disgregazione. Lo Stato si giustifica non solo per l'indifferenza dei suoi componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto, per la loro incapacità di gestire queste faccende. Chiunque si faccia complice di questa apologia ideologica dello statalismo, negando l'esigenza di un regno della politica o confondendolo superficialmente con la creazione di cooperative, di istituzioni, di gruppi d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni, di scontri tra i giovani e "l'autorità", nei panni di patetici e normali lavoratori con addosso le uniformi di polizia, si fa anche complice di quelle tesi ideologiche secondo le quali la formazione di assemblee pubbliche dotate di pieni poteri sarebbe una forma di statismo e la "libertà" sarebbe raggiungibile semplicemente tirando un mattone a un poliziotto o creando una "zona temporaneamente autonoma".<span>Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta questo insieme di concetti. è importantissimo il tipo di movimento (anzi di "avanguardia", un termine abusato, che la Nuova Sinistra ha guastato associandolo ai bolscevichi) che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene sì, di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni richieste dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto, di dissociarmi da I.S. Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti anarchici di Pietrogrado che, quando i marinai di Kronstadt, insieme alla guarnigione di Pietrogrado e agli operai più coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le armi in pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo sovietico, rispondeva all'appello a organizzarsi con la stupida parola d'ordine: "Saranno le strade a organizzarvi!" Le strade, manco a dirlo non organizzarono un bel niente e nessuno e, mancando una vera leadership, l'insurrezione fallì nel giro di pochi giorni.

Fasi distinte
Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni del passato, il problema principale che ho incontrato è stato appunto quello del tipo di organizzazione che potrebbe fare la differenza, tra la sopravvivenza e la morte, in un sollevamento rivoluzionario. Mi si è fatta sempre più chiara in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di operare positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che sia impegnata nella propria rigorosa paideia, che sappia formare proprie istituzioni, basate su una costituzione razionale, che s'impegni a cooptare cittadini istruiti e motivati, che abbia una propria struttura e propri programmi. Questa organizzazione potrebbe essere benissimo considerata una sorta di polis in via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo del municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno (destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli, farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili. Se non si hanno principi solidi e chiari, si è semplicemente senza principi: si svolazza nell'etere delle vaghe opinioni, senza autentiche idee, con concetti improvvisati e non con concezioni profonde, si fanno castelli in aria e non teorie solide con solide fondamenta. è vero che i principi si possono cambiare, ma la tesi secondo la quale i principi devono restare nel vago è lo specchio dell'attuale mentalità postmoderna, priva di spina dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene che non ci sia nulla di fondamentale, che ritiene che idee prive di forma, come amebe, meritino una seria attenzione, che pensa che ogni struttura sia autoritaria se non totalitaria e che i sentimenti siano più importanti di un pensiero profondo e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile, si ricade nella tirannia del non strutturato, proprio come, nel caso del compromesso con il consenso, si maschera il fatto che una minoranza (sia essa di uno, di dieci o di venticinque su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al cui interno uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che può negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque della maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso bloccherebbe la "tirannia" della maggioranza. Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento del municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione delle idee avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza abbia tutti i diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi altra organizzazione può dichiararsi tale. Io non sostengo certo che solo un'organizzazione municipalista libertaria abbia il diritto di negare ad altre la facoltà di ritenersi avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia il diritto di farlo, né tento di limitare loro questa possibilità. Ma è mia opinione che non si verificherà mai un importante cambiamento della società senza un movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda molto sul serio la propria struttura e che stabilisca regole precise di adesione. (...)

L'ultima occasione
Oggi il mondo sta cambiando a una velocità davvero stupefacente. Ho affermato più volte che, se il capitalismo non distruggerà il pianeta, il mondo forse tra trent'anni, ma sicuramente entro cinquanta, subirà una trasformazione che va al di là di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino scomparirà del tutto, non solo: anche quella natura che noi definiamo "selvaggia" non ci sarà più. È probabile che l'automazione dell'industria raggiunga livelli impensabili e che la superficie della terra subisca enormi trasformazioni. Non so, e non saprò mai, se questi cambiamenti provocheranno una crisi ecologica o se saranno affrontati, sia pur in modo insufficiente, dalla scienza e dalla tecnica. Sono tanti gli interrogativi su come sarà il mondo di domani, e io non cercherò di ragionarci troppo sopra, ora la mia vita sta volgendo al termine. Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista libertario non riuscirà a favorire la nascita di un sistema a democrazia diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente tutti gli ideali libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo, nella speranza di riuscire a realizzare una società autenticamente libertaria senza creare una sfera pubblica, partendo da una politica elettorale che coinvolga la base e che si fondi sulla costituzione di assemblee a democrazia diretta. è questa, io credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario. Se non siete d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo di usare un'etichetta diversa per le vostre idee: lasciate stare il nome di "municipalismo libertario" e seguite la vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative, se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare i miei critici di non contaminare le idee che non apprezzano e nello stesso tempo affermano di sostenere. Grazie

Murray Bookchin

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