lunedì 26 marzo 2012

un'interdipendenza che non cambia


La parola “ecologia” deriva dal greco oikos, che significa “casa” o “posto per vivere”, e logos che significa “discorso”. Così il” discorso sull’ambiente in cui si vive” comprende tutti gli organismi presenti e tutti i processi funzionali che rendono l’ambiente abitabile. Letteralmente allora, l’ecologia è lo studio della vita nella casa con particolare enfasi su tutte le relazioni o i modelli di relazione tra gli organismi ed il loro ambiente (…).
Il termine economia deriva anch’esso dalla radice greca oikos. Poiché nomics significa “gestione”, economia sta a significare “la gestione del posto in cui si vive”, ne deriva che ecologia ed economia dovrebbero essere discipline affini tra loro. (…)
L’ecologia ha storicamente sempre avuto un interesse pratico per l’uomo. Nelle società primitive, tutti gli individui per sopravvivere, dovevano conoscere il loro ambiente, cioè le forze della natura, le piante e gli animali che li circondavano. La civiltà infatti cominciò contemporaneamente all’uso del fuoco e di altri strumenti idonei alla modificazione dell’ambiente. Le conquiste tecnologiche ci fanno sentire sempre meno dipendenti dall’ambiente naturale per le nostre necessità quotidiane e così dimentichiamo la nostra dipendenza dalla natura. Inoltre, i sistemi economici di qualunque ideologia politica valorizzano ciò che l’uomo fa e che è di primario beneficio per l’individuo, ma poco valore viene attribuito alle cose ed ai servizi della natura che ci avvantaggiano come società.
Fino a che non interviene una crisi, tendiamo a prendere per gratuita concessione i beni ed i servizi della natura; assumiamo che essi siano illimitati o in qualche maniera sostituibili dalle innovazioni tecnologiche, malgrado esistano evidenze del tutto contrarie.
Il più grande paradosso è che le nazioni industrializzate siano uscite con successo dalla temporanea disgiunzione del genere umano dalla natura, ottenuta sfruttando i combustibili fossili che la natura stessa produce in quantità limitata. Tutt’ora la civiltà dipende dall’ambiente naturale, non solo per l’energia e i materiali ma anche i fondamentali processi di mantenimento della vita come i cicli dell’aria e dell’acqua. Le leggi fondamentali della natura non sono mutate nella loro sostanza; il progressivo aumento della popolazione umana e la sua accresciuta capacità di intervenire sull’ambiente ha fatto deviare queste leggi nella loro complessità e nelle loro relazioni quantitative.
(…)

(Eugene P. Odum – Basi di Ecologia)

giovedì 22 dicembre 2011

il quadro completo _ da "Il cerchio e la linea" di Tiziana Banini

Inquinamento delle acque e dell’aria, progressiva perdita di fertilità dei terreni, erosione e desertificazione, riduzione del patrimonio forestale e biologico, crescita esponenziale di rifiuti e quant’altro dimostrano che il nostro modo di interagire con l’ambiente è intrinsecamente inadeguato e necessita di una radicale trasformazione. La natura sta mostrando il suo conto, direbbe Barry Commoner (1977), e tutti gli abitanti di questo pianeta, in veste di attori economici, politici, decisionali e di semplici cittadini, sono chiamati ad una seria riflessione sui propri comportamenti individuali e collettivi.
Diviene fondamentale, soprattutto, comprendere le ragioni di questo mancato dialogo tra natura ed esseri umani, superando l’ottica antropocentrica che ha contraddistinto la storia dell’umanità, almeno da quando essa ha maturato le conoscenze scientifiche e tecnologiche tali da alterare profondamente gli equilibri eco sistemici e il rapporto con le altre specie viventi. Altrettanto necessario è diffondere adeguata conoscenza che solleciti consapevolezza circa gli effetti ambientali e sociali dei comportamenti umani, fornendo un contraltare alle tante sollecitazioni sociali, economiche e mediatiche che inducono le persone ad identificarsi soprattutto nel ruolo di consumatori ad oltranza di materia ed energia.
Di ambiente in realtà se ne parla già molto, forse perché si tratta di un argomento che si presta a garantire buone tirature di riviste e giornali o a far lievitare l’audience televisiva, magari ricorrendo a qualche espediente spettacolare. Ma il modo in cui le tematiche ambientali sono affrontate suscita non poche perplessità, poiché quasi sempre si parla di inquinamento piuttosto che di rifiuti senza andare alle effettivi radici, col risultato di proporre soluzioni di facciata e quindi di perpetuare il problema stesso.
(…)
Andare alla radice della questione ambientale significa soffermarsi sulle modalità in cui è stato concepito e praticato il progresso nel corso della storia umana ovvero riflettere sul fatto che gli avanzamenti scientifici e tecnologici hanno progressivamente intrapreso una strada autonoma, slegata dalla natura, centrata sulla razionalità diretta allo scopo piuttosto che al valore e finalizzata a soddisfare le crescenti esigenze dell’unica specie in grado di modificare consapevolmente l’ecosistema e i suoi equilibri (Hösle, 1922).
Proprio dalla metà dello scorso secolo, in coincidenza dell’affermazione del petrolio come fonte energetica di un progetto politico volto a diffondere benessere materiale a tutta la popolazione, secondo quello che Latouche (2003) definisce angelismo liberare , il progresso è stato pensato a vantaggio dell’homo oeconomicus ovvero a generare continui nuovi bisogni individuali materiali e nuovi profitti per le imprese, esasperando lo stretto legame tra quotidianità e capitalismo venutosi a creare ben molto tempo prima (Braudel, 1977).
Da allora, si è dato inizio ad una folle corsa verso l’ultima innovazione da inventare, produrre, consumare, buttare, secondo logiche lineari, dal tutto contrarie a quelle cicliche della natura. Figlie della stessa radice meccanicistica e riduzionistica nei confronti della natura, le economie collettiviste davano vita a sistemi di produzione in cui si poneva forse maggiore attenzione alla questione sociale, ma sfruttando indiscriminatamente risorse e territori, agendo come una sorta di “capitalismo di Stato”, determinando immani guasti ambientali. (…)
Nel frattempo il progressivo distacco dalla natura si è concretizzato anche nelle crescenti capacità di intervento sulla vita e sulla morte, alimentando interrogativi circa i limiti da imporre alla genetica, alla medicina, alla biologia. Di certo questo pianeta non sarebbe abitato da 7 miliardi di persone se non fossero state inventante tecniche in grado di contrastare profondamente la malattia, la morte, l’infertilità. Argomento scomodo per eccellenza questo, ma che va menzionato, non solo per ricordare uno dei motivi principali del cosiddetto sovrappopolamento del pianeta, ma anche, anzi soprattutto, per evidenziare l’approccio meccanicistico che ancora oggi connota le scienze mediche, basate sulle terapie chimiche, fisiche, elettromagnetiche, concentrando l’attenzione sull’organo o la funzione malata, piuttosto che sul significato olistico, simbolico e profondo della malattia. Malattia che è sempre la rappresentazione biologica di uno squilibrio e di una disarmonia, di una perdita di flessibilità e di integrazione con se stessi e con il mondo circostante. (Capra, 2009)
(…) Il paradosso, altro argomento demagogicamente scomodo, è che nei paesi più poveri della terra si interviene con medicinali e alimenti dei Paesi più ricchi, seguendo obiettivi di solidarietà, aiuto e cooperazione, proprio mentre continuano a sfruttare indiscriminatamente le loro risorse, i loro territori, la loro forza lavoro, con la complicità delle élite di potere locali e l’indifferenza dei consumatori globali. Deprivazione di risorse per lo sviluppo da una parte, aiuti umanitari dall’altra: interventi a monte e a valle che nel mezzo lasciano il vuoto, finendo per alimentare il degrado dei territori e delle popolazioni più disperate del pianeta, aumentandone la dipendenza dagli aiuti internazionali, diffondendo modelli culturalii e stili di vita non supportabili localmente che inducono all’emigrazione verso gli eldorado occidentali, anziché lasciare libere quelle popolazioni di utilizzare le loro risorse e di scegliere una propria via allo sviluppo.
(…)
Il distacco degli essere umoni dalla natura si manifesta anche nel modo in cui certi fenomeni naturali sono concepiti e affrontati, il clamore che accompagna il dibattito sul cambiamento climati, la perdita di biodiversità, le calamità naturali, dimostra quanto l’uomo tenda ad addossarsi responsabilità per fenomeni che sono sempre avvenuti nella storia della Terra, molto prima che egli apparisse. La natura ha proprie logiche e dinamiche, che non escludono il verificarsi di fenomeni estremi e improvvisi: terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani sono definiti calamità naturali perché distruggono quanto creato dall’uomo, ma per la natura si tratta solo di manifestazioni perfettamente integrate nel suo ordinario procedere; l’uomo non può fare altro che prenderne atto e imparare a conviverci, evitando di subirne conseguenze troppo negative.
Certo, per altri tipi di eventi estremi è diverso: frane ed alluvioni possono effettivamente essere agevolate dall’uomo, ad esempio con la deforestazione o l’utilizzo improprio dei versanti acclivi, e molto può essere evitato (…). Ma anche in questo caso va sottolineato che in natura frane e alluvioni avvengono, indipendentemente dal comportamento umano. Stesso discorso relativamente alla biodiversità: l’uomo può agevolarne la riduzione utilizzando le varietà vegetali e animali più produttive, come fanno l’agricoltura e la zootecnia commerciali, alterando le condizioni ambientali necessarie alla sopravvivenza di determinate piante o animali, prelevando specie ittiche al do sopra dei tempi di riproduzione, uccidendo specie rare e altro ancora. Ma nella lunga storia della Terra è sempre successo che delle specie siano scomparse e che altre si siano evolute, lasciando in vita quelle maggiormente in grado di sostenere le condizioni ambientali di ogni epoca. Anche con i dovuti accorgimenti, pertanto, l’uomo non può impedire che certe specie vegetali e animali scompaiano, com’è nel naturale comportamento dell’ecosistema.
Superare l’ottica antropocentrica e porre al centro dell’attenzione la natura e le sue regole diviene obiettivo fondamentale se davvero si vuole arrivare all’integrazione con  l’ecosistema, così come diviene indispensabile acquisire nelle prassi dei principi di precauzione e di prevenzione (…): evitare qualsiasi intervento umano sull’ambiente di cui non si conoscano gli effetti; valutare i possibili danni di ogni azione, per quanto ci è dato sapere, in via preventiva e non secondo la mera logica ripartiva che ha dominato fino all’avvento del cosiddetto sviluppo sostenibile.
Sotto accusa c’è un intero modo di intendere lo stare al mondo che è configurato sugli aspetti più apparenti e individualisti dell’esistenza, sull’accumulo ad oltranza di ricchezza e materia, su un sistema sociale ed economico “che organizza la produzione al fine di promuovere consumi piuttosto che per soddisfare bisogni”. (Isenburg, 2000)
(…)
L’espansione su scala globale del modello di produzione e consumo occidentale, in termini effettivi o auspicabili, costituisce ulteriore motivo di preoccupazione, anche per la dissipazione progressiva di culture e stili di vita “altri” che si accompagnano a questo processo.
(…)
Andando ancora più alla radice, ciò che sembra essere necessaria è una riabilitazione della dimensione metafisica della natura, l’unica in grado di varcare gli orizzonti del meccanicismo e riduzionismo, di cui è ancora in larga parte permeato il progresso tecnologico, e di affermare l’impostazione teleologica, finalistica, basata su obiettivi intenzionali e integrati con la natura, partendo dal presupposto che l’uomo, a differenza delle altre specie viventi, è sì in grado di modificare consapevolmente la natura, ma anche di proporsi obiettivi che vanno oltre l’immediato, sconfinano nel simbolico, si nutrono di immaginazione e rendono possibile quindi una scelta responsabile tra diverse possibili opzioni (Jonas, 1993).
Il fatto che l’ecosistema terrestre non sia in grado di garantire a 7 miliardi di persone – ma forse nemmeno a 3 – una disponibilità di risorse pari a quella consumata attualmente da una minima parte della popolazione mondiale dovrebbe essere motivo sufficiente per intraprendere un percorso diverso da quello finora seguito (…).

(dall'Introduzione di "Il cerchi e la linea - alle radici della questione ambientale" di Tiziana Banini)

domenica 11 dicembre 2011

ZEITGEIST ADDENDUM: la vera natura della realtà


I valori della nostra società,che si sono manifestati nelle continue guerre, la corruzione, le leggi oppressive, la stratificazione sociale, comportamenti irrazionali, distruzione ambientale, ed una caotica indifferenza sociale orientata al profitto delle classi dominanti, è fondamentalmente il risultato di un'ignoranza collettiva di due delle più basiche intuizioni umane che si possono avere in questa realtà.
Gli emergenti e simbiotici aspetti delle leggi naturali.
La vera natura della realtà è che tutti i sistemi - se sono conoscenza, società, tecnologia, filosofia, o qualsiasi altra invenzione - saranno, quando disinibite, sottoposti ad un continuo e veloce cambiamento.
Quello che consideriamo normale oggi come la telematica e il trasporto, erano stati impensabili nelle epoche antiche.
Allo stesso modo, il futuro avrà tecnologie, realizzazioni, e strutture sociali che noi non possiamo mai conoscere nel presente.
Siamo andati dall'alchimia alla chimica, dall'universo geocentrico a quello eliocentrico, da credere che i demoni siano la causa di malattie alla medicina moderna.
Lo sviluppo non sembra dar segno di cedimenti, ed è questa consapevolezza che ci porta e guida verso la crescita e il progresso.
Una conoscenza empirica statica non esiste, piuttosto è la conoscenza sulla nascita di tutti i sistemi che dobbiamo riconoscere.
Questo significa che dobbiamo essere aperti a nuove informazioni ogni volta, anche se minaccia il nostro attuale sistema, e quindi, la nostra identità.
Purtroppo, le società di oggi non capiscono questo, e le istituzioni continuano a paralizzare la crescita, preservando delle strutture sociali datate.
Contemporaneamente, la popolazione ha paura di cambiare.
Per questo condizionamento assumono un'identità statica e cambiare un dogma del sistema, di solito è un inquietante insulto.
L'essere in difetto è erroneamente associato al fallimento.
Dopo, infatti, aver dimostrato il difetto, questo dovrebbe essere celebrato.
Perché eleva qualcuno ad un nuovo livello di comprensione, si promuove la consapevolezza.
Il fatto è che, non ci sono cose come un piccolo essere umano, è semplicemente una questione di tempo prima che le idee siano aggiornate, cambiate o sradicate.
E questa tendenza a credere ciecamente in un sistema, rifugiandosi da esso nella possibilità di trasformazione non è niente di meno che una forma di materialismo intellettuale.
Il sistema monetario perpetua questo materialismo non solo preservando le sue stesse strutture, ma anche attraverso l'innumerevole numero di persone che sono state condizionate in cecità nella difesa di queste strutture, senza pensarci, perciò diventano guardiani inconsapevoli dello status quo.
Siamo pecore che non hanno avuto bisogno di un cane per controllarsi.
Controllando ogni altro, opponendoci a quelli che fanno un passo fuori dal normale.
Questa tendenza a resistere ai cambiamenti e preservare le istituzioni esistenti per motivi di identità, comodità, potere e profitto è assolutamente insostenibile; e produrrà solo ulteriore squilibrio, frammentazione, distorsione, e molto probabilmente distruzione.
E' tempo di cambiare.
Da cacciatori e raccoglitori, alla rivoluzione agricola, ed alla rivoluzione industriale, il percorso è chiaro.
E' tempo per un nuovo sistema sociale che rifletta le intenzioni che abbiamo oggi.
Il sistema monetario è un prodotto di un'epoca dove la scarsità è una realtà.
Ora, con l'era della tecnologia, non è più importante per la società.
E' andato assieme al suo comportamento aberrante.
Allo stesso modo, le culture dominanti nel mondo, come le religioni, operano con la stessa superficialità sociale.
Islamismo, Cristianesimo, Giudaismo, Induismo e tutte le altre esistono come barriere alla crescita personale e sociale.
Per ognuna di esse, si protrae una visione chiusa del mondo.
E questa conoscenza limitata che riconoscono è semplicemente impossibile in un nuovo universo.
La religione ha avuto successo nel sedare la consapevolezza di questa emergenza instillando una distorsione psicologica di fede verso i suoi seguaci.
Dove la logica e le nuove informazioni sono rifiutate in favore di dogmi tradizionali e sorpassati.
Il concetto di Dio, è davvero un modo di guardare le cose naturali.
Nei primi giorni i popoli non sapevano abbastanza su come queste cose si siano formate, come la natura ha funzionato.
Così si sono inventati le loro storielle, ed hanno creato un Dio nel loro immaginario.
Un tizio che si arrabbia quando le persone non pensano bene.
Lui crea inondazioni, terremoti e loro dicono che è la volontà di Dio.
Un rapido sguardo alle religioni soppresse nella storia rivelano che anche la creazione degli stessi miti sono culture dominanti sviluppate con l'influenza del tempo.
Per esempio, una dottrina cardine della fede Cristiana è la morte e la resurrezione di Cristo.
La nozione è così importante che la Bibbia stessa dice:
"E se Cristo non è risorto allora le nostre prediche e la nostra fede sono vane".
Ancora è molto difficile tenerne conto letteralmente, non solo perché non c'è nessuna fonte che denota questo evento soprannaturale nella storia dei secoli, ma sapendo dell'enorme numero di salvatori prima dei cristiani, se anche fossimo morti e risorti immediatamente assoceremmo questa storia alla mitologia.
All'inizio le figure ecclesiastiche, come i Tortulliani, vollero rompere decisamente con queste associazioni, anche sostenendo che il diavolo ha causato il verificarsi di somiglianze, affermando nel secondo secolo:
"Il diavolo, il cui intento è di distorcere la verità, imita le esatte circostanze dei sacramenti divini.
Lui battezza i suoi credenti e promette il perdono dei peccati...celebra l'offerta del pane, e porta il simbolo della resurrezione. Dobbiamo perciò conoscere gli artefatti del diavolo, che copia cose tra quelle che sono divine."
Quello che è davvero triste, è che quando noi rifiutiamo l'idea che le storie come Cristianesimo,
Giudaismo, Islamismo e tutte le altre sono storie, e le accettiamo per quello che realmente sono, cioè che sono puramente espressioni allegoriche derivate da più fedi, noi scopriamo che tutte le religioni condividono un filo comune.
Ed è questo imperativo unificante che ha bisogno di essere riconosciuto e apprezzato.
I credo religiosi hanno causato più frammentazione e conflitti di ogni altra ideologia.
Il Cristianesimo da solo ha oltre 34,000 differenti sottogruppi.
La Bibbia è soggetta a interpretazioni.
Quando la leggi, tu dici
"Penso che Gesù intendeva questo. Penso che intendeva quell'altro.
Oh No! Lui intendeva questo."
Così tu hai i Luterani, gli Avventisti, i Cattolici, e una Chiesa divisa non è del tutto una Chiesa.
A questo punto le divisioni, che sono marchi di fabbrica di tutte le religioni teistiche, ci portano al nostro secondo fallimento sulla consapevolezza.
La falsa assunzione della separazione attraverso il rifiuto di una vita relazionata simbioticamente con gli altri.
Oltre a capire che tutti i sistemi naturali sono innovativi, dove tutte le nozioni di realtà saranno costantemente sviluppate, alterate ed anche sradicate, noi dobbiamo anche capire che tutti i sistemi sono, infatti, frammenti inventati, solo per motivi di dialettica e retorica.
Per ciò non ci sono cose come l'indipendenza in natura.
L'intera natura è un sistema unificato di variabili interdipendenti, ognuna causa e reazione, esistenti solo come un tutt'uno concentrato.
Non vedi la corda per legarti all'ambiente, così sembra che siamo liberi... e girovaghiamo.
Ma elimina l'ossigeno, noi tutti moriremmo immediatamente.
Elimina le piante, noi moriremmo.
E senza il sole, tutti i pianeti morirebbero.
Così noi siamo connessi.
Noi dobbiamo seriamente tenere conto di questa totalità.
Non è solo un'esperienza umana su questo pianeta, questa è una esperienza totale.
E noi sappiamo che non possiamo sopravvivere senza piante e animali.
Non possiamo sopravvivere senza i quattro elementi, ricordi?
E così, quando cominceremmo seriamente a tenerne conto?
Questo è quello che è un successo.
Il risultato dipende da come ci relazioniamo con tutto quello che ci circonda.
So che mio nipote non può sperare di ereditare un mondo sostenibile, pacifico, stabile, socialmente giusto se ogni figlio oggi che cresce in Ethiopia, in Indonesia, in Bolivia, in Palestine, in Israel non ha la stessa aspettativa.
Dovete prestare attenzione all'intera comunità o avrete seri problemi.
E ora noi dobbiamo vedere l'intero mondo come la comunità.
E dobbiamo prendere cura di ogni altro in quella maniera.
E non è soltanto una comunità di esseri umani, è una comunità di piante, animali ed elementi.
Ed abbiamo seriamente bisogno di capire questo.
questo è quello che ci mette gioia, e piacere.
Questo è quello che manca alle nostre vite adesso.
La possiamo chiamare spiritualità, ma il dato di fatto è  che la gioia viene dalla beatitudine nella simbiosi con l'esterno.
Questo è il nostro Dio spirituale.
Questa è quella parte di noi stessi che davvero sentiamo, e tu puoi sentirla nel profondo. E' questo
meraviglioso sentimento, che conosci quando lo provi.
E non lo proverai tramite il denaro, lo proverai tramite il tuo relazionarti con la natura.

"Ora se questo non è un pericolo per questa nazione. come potremmo costruire armi nucleari, sapete che significa? che succederà all'industria degli armamenti quando realizzerà che siamo un tutt'uno? L'economia andrà a farsi fottere. L'economia che è falsa comunque. Il che sarebbe una vera seccatura. Potete vedere perché i governi cadono...sull'idea dell'amore incondizionato. Io credo che la verità disarmata e amore incondizionato avranno la parola finale nella realtà."
                      (Dr. Martin Luther King Jr., 1929-1968)

Una volta capito che l'integrità delle nostre personali esistenze è completamente dipendente
dall'integrità di tutto il resto nel nostro mondo, noi capiremmo il vero significato dell'amore incondizionato.
Per amore si intende ampliamento e visione di tutto come te, e te come tutto non può avere dei condizionamenti, per il fatto che noi siamo un tutt'uno.
Se è vero che noi proveniamo dal centro di una stella, ogni atomo di ognuno di noi proviene dal centro di una stella, quindi noi siamo tutti la stessa cosa.
Anche un distributore o un mozzicone di sigaretta per strada è fatto di atomi che provengono da una stella.
Loro sono stati riciclati migliaia di volte, come siamo arrivati ad avere te e me.
E perciò, c'è solo parte di me lì fuori.
Quindi, c'è qualcosa di cui avere paura? Chi ha bisogno di consolazione?
Niente e nessuno. Non c'è niente di cui avere paura perché è tutto nostro.
Il problema è che ne siamo stati separati da quando siamo nati e ci hanno dato un nome ed una identità per essere individuati.
Siamo stati separati dall'unicità, e questo è quello che la religione sfrutta.
Quelle persone hanno questo desiderio di far parte di un tutt'uno di nuovo.
Così loro sfruttano questo. Loro lo chiamano Dio, dicono che ha delle regole, e credo che sia crudele.
Io credo che puoi farlo anche senza la religione.
...un extra-terrestre che esamina le differenze tra le civiltà troverà quelle differenze inutili in confronto alle uguaglianze...
Le nostre vite, il nostro passato e il nostro futuro sono legate al sole, alla luna e alle stelle
Noi umani abbiamo visto gli atomi che costituiscono tutta la natura e le forze che hanno scolpito questo capolavoro...
E noi, noi che incarniamo gli occhi, e le orecchie, e i pensieri, e i sentimenti del cosmo, noi abbiamo cominciato a farci domande sulle nostre origini...pezzi di stelle che contemplano le stelle, organizzano collezioni di dieci miliardi di miliardi di atomi, contemplando l'evoluzione naturale, rintracciando il lungo percorso col quale è arrivato alla coscienza qui sul pianeta terra...
Le nostre fedi sono per le specie e per il pianeta. Noi parliamo per la terra.
Il nostro obbligo a sopravvivere e fiorire è posseduto solo da noi stessi ma anche a quell'antico e vasto cosmo da quale siamo sbucati.

"Noi siamo una specie. Noi siamo parti di stelle che raccolgono la luce delle stelle."
                                (Carl Sagan, 1934-1996)

lunedì 31 ottobre 2011

Trash economy, in Calabria commissari da buttare_ di Tiziana Barillà

Hanno speso un miliardo di euro in 14 anni. Ma la raccolta differenziata è ferma. I privati, scelti senza gara, gestiscono ancora raccolta, impianti e discariche. Mentre le 'ndrine si infiltrano nel ciclo. Così in Calabria si lucra sull'emergenza spazzatura. La denuncia della commissione bicamerale sui rifiuti
di Tiziana Barillà

Il 12 settembre 1997 in Calabria è stato dichiarato lo stato di emergenza per il settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. «A distanza di oltre tredici anni dall'istituzione dell'ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Calabria non è stato realizzato nessuno degli obiettivi previsti dai piani regionali per i rifiuti predisposti dal commissario». Non sono le parole dei movimenti ambientalisti, ma le conclusioni della Commissione bicamerale d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, presentata nei giorni scorsi a Crotone dal presidente Gaetano Pecorella. Duecento pagine in cui la Commissione demolisce il commissariamento, gestito negli anni da 5 diversi presidenti di Regione e da altrettanti prefetti. Dal febbraio 2011, l'attuale governatore Giuseppe Scopelliti è stato sostituito dal generale della Guardia di finanza Graziano Melandri, undicesimo commissario all'emergenza calabrese. Ma se la Calabria proprio non riesce a risolvere il suo problema con la spazzatura, la colpa non è solo di politici e alti funzionari dello Stato. In Calabria, infatti, non sono state realizzate nel corso di tutto il commissariamento nuove discariche pubbliche e tutto il sistema è rimasto affidato ai privati.
Ad oggi, sono operative le discariche di Catanzaro-Alli, di proprietà del privato Enerambiente SpA; quella di Pianopoli (Cz) gestita dalla Ecoinerti di proprietà del gruppo Daneco; e quella di Crotone, località Columbra, la più grossa della regione. La Sovreco srl che la gestisce fa parte del gruppo Vrenna, finito più volte in inchieste della magistratura per rapporti con le ’ndrine. Mentre tutte le altre discariche, pubbliche e private, sono praticamente esaurite. Quanto agli impianti di trattamento, sono 7, funzionano malissimo (il 40 per cento dei rifiuti trattati finisce in discarica) e sono tutte di proprietà della Tec spa, società della multinazionale francese Veolia. A gestire la raccolta, infine, sono 14 società miste, costituite al 51 per cento dal capitale pubblico e al 49 per cento da capitale privato.
Privato vuol dire efficienza? Una tesi tutta da dimostrare. Per ogni cittadino calabrese si spendono ben 123,89 euro l'anno solo per la gestione delle discariche e delle stazioni di trasferenza da parte del commissario, cui vanno ad aggiungersi le somme pagate a titolo di tariffa dai Comuni. La gestione del commissario, nel solo periodo 1998-2006, è costata 700 milioni di euro, come rilevato dai carabinieri per la tutela dell'ambiente di Napoli. Ad oggi, il costo complessivo ha superato il miliardo di euro. Il tutto per un servizio di pessima qualità: la raccolta differenziata pro capite in Calabria è di 58,2 kg/abitante per anno. La media nazionale è di 165,5 e quella del sud Italia di 72,7.

«L'esito delle iniziative commissariali è stato rovinoso, posto che la raccolta differenziata non è decollata, anzi è rimasta ferma al punto di partenza - si legge nella relazione - le gara sono state svolta a metà, e cioè solo per selezionare imprese private locali, mentre la scelta più importante, quella cioè del socio “industriale” nelle società miste, è avvenuta ad opera del commissario delegato, senza gara alcuna». Secondo la Corte dei conti, inoltre, «l'unica evidente finalità di tale gestione sembra essere quella di garantire posti di lavoro, piuttosto che un servizio ai cittadini e di dare cittadinanza anche nel settore della gestione dei rifiuti a gruppi con evidenti connotazioni mafiose». Anche il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, riferisce «dell'esistenza di connivenze, infiltrazioni e condizionamenti, talvolta a livello di amministratori dei comuni, a volte, molto più semplicemente, della struttura amministrativa, che spesso si intreccia con la prima».
Intanto, il governatore Scopelliti rassicura che nel 2012 cesserà il commissariamento. Mentre il 12 novembre i comitati calabresi coordinati dalla Rete per la difesa del territorio "Franco Nisticò", sfileranno a Crotone per chiedere di fermare la distorsione tutta italiana dei commissari, per l’avvio della raccolta differenziata porta a porta e la bonifica di tutti i siti inquinati.

domenica 23 ottobre 2011

QUEL CHE PENSIAMO DEL 15 OTTOBRE _ un parto collettivo da Reggio al Pollino

 SABATO 15 OTTOBRE, UN GIORNO DA RICORDARE.


Il 15 ottobre ha visto in tutto il mondo la nascita di un nuovo protagonismo sociale. Milioni di cittadini ovunque, in tutti i continenti, hanno manifestato per difendere i diritti, messi a rischio dalla crisi del sistema capitalista, fondato su finanza speculativa, competitività e produttività.
In Italia, l'altissima partecipazione, volutamente concentrata nella sola piazza romana a dimostrato la straordinaria vitalità dei movimenti e della voglia di rivalsa della società civile italiana. Centinaia di migliaia di persone erano a Roma con le loro proposte e la loro indignazione, con l’obiettivo di partecipare alla nascita di un movimento contro la crisi del sistema e chi l'ha provocata.
Il nostro Paese si trova stritolato nelle spire di una crisi che attanaglia tutti i protettorati (nazioni europee in prima linea) del moribondo gigante unipolare a stelle e strisce e il matrimonio d’interesse tra capitalismo e democrazia rappresentativa, con buona pace di Sinistra e Destra nostrane, si avvia ad un prossimo, imminente divorzio.


Mentre questa crisi totale, provocata dalla finanza internazionale - che de facto detta l’agenda politica di ciascun governo europeo- distrugge in forma criminale ciò che nell’ultimo ventennio è rimasto in piedi dello Stato sociale, la nostra classe politica non trova di meglio da fare che offrirci lo spettacolo rivoltante del litigio infinito per chi sia l’interlocutore e l’esecutore più affidabile dei diktat che, proprio dalle centrali bancarie e finanziarie europee, provengono e per giunta, con crescente arroganza.


Sarebbe a dire: affidiamoci a chi ha scientemente provocato il male per sconfiggerlo! Un paradosso nel paradosso, poiché a ben vedere l'anomalia tutta Italiana degli scontri di piazza, la rabbia sociale giustamente esplosa, ha una matrice abilmente nascosta a tutti.
La gerontocrazia, le mafie criminali e borghesi, i poteri occulti massoni e/o finanziarie, la multinazionale piuttosto che il padroncino di turno, i baronati universitari, la mortificazione del precariato a vita, tutto ciò che, in Italia ancor più che in altri paesi, tiene bloccate le incerte esistenze dell’ ultima generazione Italiana. Che poi solo giovani non sono visto che la precarietà è ormai confezionata dai 19 ai 40 anni, e s'incontra con chi è stato espulso dal processo produttivo a 50 anni, con buona pace delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e dei loro agganci politico istituzionali.

La frustrazione del NO FUTURE o viene somatizzata, e casi di suicidio ce ne sono, o viene fatta esplodere, e per fortuna è questa la risposta dei più. La giornata di sabato dimostra innanzitutto questo, rivolgendosi contro obbiettivi simbolici dell'apparato economico, istituzionale e repressivo colpevoli dei nostri problemi: precarietà, povertà diffusa nell’universo giovanile, negazione del diritto alla casa e allo studio, disoccupazione dilagante, morti sul lavoro.
Tanti ragazzi che lottavano, a modo loro, contro quello che avevano davanti, sfogando rabbia in maniera confusa ma con un messaggio chiaro e con la forza di chi davanti a sé non vede un futuro.
La gestione della manifestazione, con l'apertura ai partiti politici, come se fosse un grande trampolino politico elettorale, e la gestione della piazza, fanno sorgere il dubbio che si cercasse il pretesto per annullare, sminuire, criminalizzare ogni manifestazione di dissenso non riconvertibile in voti.
Una Piazza San Giovanni riempita dai MOVIMENTI, da quelli per l'ACQUA ai NO TAV, dai PRECARI, ai MIGRANTI, da tutto il tessuto vivo della società italiana, sarebbe stato un colpo mortale, per le moribonde rappresentanze parlamentari.


E ipocritamente quei settori, che volevano manipolare la manifestazione di sabato, oggi piangono per averla persa, quando non assumono comportamenti delatori. Inaudito!! Il popolino, cresciuto al gossip e chiacchericcio delle TV, che combatte Berlusca, ma ne è espressione speculare, nell'univoco pensiero, mette una vera e propria rabbia nell'incitare la polizia contro tutto ciò che ai sui occhi appare immorale, o magari semplicemente sconveniente; questa furia moraleggiante che s'impadronisce del popolo è, per la polizia, una garanzia ben più sicura di quella che le potrebbe essere fornita dal governo. Il primo passo è compiuto, la prima mutazione qualitativa, in direzione regressiva, può dirsi realizzata. Ad essa hanno contribuito, più o meno consapevolmente, tutti i partiti che si riconoscono, con sfumature diverse, in questo Sistema. Dalla politica di “lacrime e sangue” alla politica di “lacrimogeni e sangue”.
All’interno di questa “sindrome di Weimar” si consuma la parabola del deputato Antonio Di Pietro capace di passare – nel giro di due settimane- dal massimalismo radicale del “ci scappa il morto in piazza”, all’invocazione di una nuova legge Reale!

La polizia ha attaccato, a San Giovanni, una folla in gran parte pacifica ed inerme, scagliandogli contro, in violenti caroselli che hanno rischiato di fare una strage, idranti e blindati.
La proposta di nuove leggi speciali per contenere il dissenso, mostra quanto il Re è nudo e impotente di fronte all'esigenza concreta di cambiamenti reali.
Più gravi sono però le responsabilità di chi ha gestito le forze dell’ordine scegliendo di blindare i palazzi del potere e di attaccare indistintamente, in piazza S. Giovanni, col risultato di seminare panico e feriti tra la folla dei manifestanti presenti.

La permanente gravità della crisi e le ricette capitalistiche che continuano a imporci, sono i motivi che ci spingono a continuare la lotta per il rovesciamento del modello di sviluppo a favore di un sistema fondato sui beni comuni, la ridistribuzione reddito e il diritto al lavoro.
Sui media, stampa e TV i primi a essere colpiti, come sempre, gli anarchici, colpevoli di volere un mondo migliore basato sull'autogestione, la libertà e la solidarietà, e in concreto: agroecologia, energie rinnovabili, bioedilizia, commercio equo solidale, trasporti ecologici, rifiuto dei rifiuti (plastica e altre porcherie di sintesi)
Proprio noi che come anarchici abbiamo una sola risposta: costruire sicurezza sociale, non con i manganelli e la violenza, ma con una istruzione garantita e libera per tutti, con l’assistenza ai più deboli, con la dignità del lavoro nelle comunità, con un futuro in cui vivere senza doversi vendere come schiavi o prostitute.
E a proposito di violenza, che sembra essere l’unico argomento capace di riempire i salotti televisivi, ricordiamo tutti i morti per mano dello stato, ultimo in ordine temporale Stefano Cucchi, o il maestro elementare Francesco Mastrogiovanni, e con il pensiero a loro, ribadiamo che nessuna violenza è più grave e più dannosa della violenza che lo stato ogni giorno ci vomita addosso.
LIBERTARI/E e ANARCHICI CALABRESI

domenica 9 ottobre 2011

Resistenza Sonora - Kalafro Sound Power

Sogno: un colpo di Stato organizzato in strada,
insurrezione popolare armata, nuova intifada,
gente barricata, gioventù incazzata,
ogni frontiera bloccata dalla Sicilia alla Basilicata.
Dalle campagne, donne, un giorno qualunque
faranno i nomi degli infami e metteranno il fuoco dentro ai bunker;
la loro voce darà voce a chi ora tace
e l’ultimo boss sarà l’ultimo “uomo di pace”.
La libertà non si conquista
senza le armi in mano come Cuba con Batista,
dimmi, chi è il terrorista? Fottuto giornalista!
La mafia è nella casa del politico che paga la tua rivista.
Un solo grido e stavolta non è allo stadio,
il suono dei ribelli passa in radio,
racconta che un pentito vuole protezione,
ma chi protegge il mio popolo da ingiustizie ed oppressione: è un clima di tensione!
Gli occhi dei vecchi sanno chi ha mentito,
ma l’omertà, alle volte, è l’unica salvezza per chi ha sentito
e anche gli sbirri bruceranno la divisa
con la dignità uccisa.
Se non c’è più tempo per ripensamenti o rese,
niente politichese o finti pacifismi da democrazia borghese:
qui si libera ‘sta terra, qui si fa la storia,
ora, pugni in alto e Resistenza Sonora!

Non abbassare la tua testa, tu non farlo mai!

Non devi dargliela per vinta, no, non farlo mai!
Se senti vento di rivolta te ne accorgerai,
ora e sempre: Resistenza!

RIT:

No, io no che non mi arrenderò,
col fucile io camminerò
sulla strada per la libertà
se sta terrà non s’ha da tuccà!
Perciò ogni giorno io combatterò,
questa è l’unica cosa che so,
sulla strada per la libertà
e col nemico nessuna pietà!


Mentre il Presidente mente al PM di Milano

ad Arcore è nascosto il vero Provenzano
e se dici che la mafia è un’invenzione di Saviano,
la camorra ricicla il denaro del Vaticano.
È chiaro, chi ha perso la voce non ha capito
che un leone non va a caccia prima di aver ruggito
e se la testa non ti basta per abbattere il nemico
spara ora, perché il tuo tempo non è finito.
E finché un latitante a Reggio è un cristo che impone arbitrio,
tu non affidarti al cielo se ‘sto inferno è già un suicidio;
mentre chi governa vende armi e vittime al cecchino,
l’antimafia dorme nella villa del padrino.
Ma se la rivolta piange negli occhi del tuo vicino,
sarà il fuoco di un brigante a illuminare il suo cammino;
se ogni giorno chi ha paura muore con il suo destino,
io morirò una volta sola come Borsellino.

RIT


È Resistenza Sonora in strada e sulla scena,

scrivo e controinformo contro il cloroformio del sistema.
Si combatte, il suono butta giù le maschere
e tre quarti del music market non ha carattere.
Nuovi guerriglieri, briganti come ieri,
non voglio boss, ma nemmeno sbirri e giustizieri:
battaglie in strada come a Santa Clara
e una maglietta di Guevara vale solo quanto l’hai sudata.
Passaparola come si passa la giolla,
dai una lezione di storia ai “boia chi molla”;
partono ancora i treni per Reggio Calabria
ed ogni strage che s’insabbia fa più aspra la nostra rabbia.
Dedicato alle radici dentro,
a chi sta al nord da trent’anni e non ha perso l’accento:
rivoluzione in ogni mia parola
e nella gente che la suona... Resistenza Sonora.

Non abbassare la tua testa, tu non farlo mai!

Non devi dargliela per vinta, no, non farlo mai!
Se senti vento di rivolta te ne accorgerai,
ora e sempre: Resistenza!





Il CD "Resistenza Sonora" è stato realizzato con il supporto del Museo della 'Ndrangheta di Reggio Calabria, istituzione culturale di contrasto alle mentalità mafiose, che opera proprio grazie ai beni confiscati ai clan e alle associazioni criminali. Il CD altro non è che la trasformazione in musica di ville, terreni e beni un tempo appartenuti a boss e malavitosi. La formazione, da anni in prima linea nel combattere la 'Ndrangheta a colpi di musica e cultura, è stata individuata come un ideale veicolo di comunicazione culturale e musicale contro il radicamento delle mafie tra i giovani. I Kalafro non sono nuovi a manifestazioni e blitz anti 'Ndrangheta. Nei loro testi vi sono riferimenti a fatti di cronaca come la rivolta di Rosarno, la bomba alla Procura di Reggio Calabria, ma anche una ricerca di una nuova coscienza collettiva per abbracciare un solo grande Sud.

visite...

Website counter