sabato 11 dicembre 2010

Coi piedi nell’acqua e la testa sui libri_ di Nicolò Pisani


Basterebbero studio, memoria e rispetto della natura per evitare alle alluvioni di trasformarsi in disastri


“io amo la pioggia. Sciaqua le memorie dal marciapiede della vita” dichiarava Woody Allen in “Provaci ancora Sam”.
50 cm d’acqua caduti in due giorni, 130 comuni colpiti (abitati complessivamente da mezzo milione di persone), tre morti, ecatombe del bestiame e danni per un miliardo di euro. Sono gli spaventosi dati “emersi” dal periodo post-esondazione in Veneto.
Rivolgendo quell’ironia a chi specula su questi eventi, sentiamo dunque la voce illuminante del dottor Fabio Ietto, Ricercatore del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università della Calabria.
Quanto contano la mano dell’uomo e quella della Natura in questo disastro?
La cattiva gestione del territorio è preponderante rispetto alle cause naturali: non solo si vanno a costruire immobili sulle aree golenali (le zone dove i corsi d’acqua esondano normalmente), ma non siamo neanche abbastanza accorti nel fare manutenzione costante e rigorosa. Basterebbero 4 miliardi e 200 milioni di euro per drenare fiume e torrenti, bonificare i territori a rischio frane, ripulire i corsi d’acqua (che avrebbe un buon esito al nord) e controllare le falde acquifere. Una cifra importante ma congrua per uno Stato responsabile e democratico come dovrebbe essere l’Italia. Nel disastro però c’è anche un aspetto naturale (anche se assai dibattuto negli ambienti scientifici): la tropicalizzazione (tra l’altro molto sentito qui al Sud). Precipitazioni concentrate e violente danno il colpo di grazia alla nostra poco efficiente rete drenante, amplificate anche dallo scioglimento delle nevi.
La periodicità di questi eventi ci insegna ad imparare dal passato?
Direi proprio di no. Non si parla più né dell’esondazione del lago Massaciuccoli, né della terrificante frana di Giampilieri, avvenute solo un anno fa, o delle 180 frane calabresi del febbraio scorso o dell’inondazione di Soverato del 2001. Ma non guardiamo neanche al futuro: il Nord-Est è sito di grandi flussi migratori, dovuti alla crescente e notoria richiesta di manodopera a basso costo, che implementeranno un’espansione edilizia già abbastanza sfrenata. La politica sa bene che costruire un ponte sospeso sullo stretto è molto più ingraziante e proficuo della tutela del suolo.
Nello specifico, i suoi studi si rivolgono ai fenomeni idrogeologici del meridione. Per avere una visione d’insieme, ce ne può parlare?
Viviamo in un pezzo di Terra tra i più idrogeologicamente pericolosi, perché l’Arco Calabro (il crinale montuoso che ci attraversa) “cresce”. Se al Nord bastano semplici operazioni di pulizia fluviale, qui da noi la situazione è più complicata: la deriva dei continenti ha fatto sì che negli ultimi diecimila anni le nostre montagne crescessero nell’ordine di 2 mm all’anno (un valore altissimo)! L’adeguamento dei versanti, sommato all’effetto delle precipitazioni abbondanti, che ne consegue produce una grande quantità di detriti che moltiplicano il rischio frane. Se si tiene anche conto del modo con cui modifichiamo l’ambiente, si può affermare tranquillamente che in Calabria tutti i disastri avvenuti finora sono sempre stati dei disastri annunciati. Si parlava di Soverato: sull’argine del corso d’acqua che la lambisce, ne 2001 c’era eretto un camping. Il dirupamento di Cavallerizzo (la parte crollata del paese era costruita su una frana precedente), il caso Vibo Valentia del 2006 (con la ferrovia e le strutture turistiche erette senza raziocinio) e l’alluvione di Tropea (dove la costruzione di un depuratore ha “incanalato” un fiume e 70mm d’acqua, precipitazione copiosa ma non eccezionale) allungano l’elenco. Le ultime vere calamità in Calabria risalgono al ’71-’73 (come l’alluvione di Timpa Grande nei pressi della Sila, con ben 500 mm d’acqua caduta). Tutto questo con il più alto numero di forestali d’Italia.
Quanto è importante per lo Stato italiano avere degli enti competenti “periti” (come voleva Platone nella sua Repubblica)?
La recente chiusura al ministero dell’ente per la difesa del suolo penso sia abbastanza sintomatico. C’è una cattiva cultura nazionale delle malleverie. Cito, il caso di guido Bertolaso. Non è strano che un medico, anziché un geologo o un ingegnere, anche se abile nella gestione logistica, occupasse il vertice più alto della Protezione Civile? Non siamo mica in Africa con epidemie da debellare. L’Italia è un paese geologicamente giovane e incoscientemente giovane.
Di Nicolò Pisani _ da “Fatti al Cubo”, giornale indipendente dell’Università della Calabria

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