venerdì 26 novembre 2010

Che fine ha fatto il ruolo civile del sapere _ di Angelo Nizza


I nostri giorni registrano la perdita del valore sociale della formazione universitaria italiana. L’ultimo a ricordarlo è stato Umberto Eco in un articolo pubblicato su repubblica.it il 15 ottobre (Il Paese dei dottori laureati al parcheggio). Il nostro sistema educativo poggia più sulla quantità, che sulla qualità: il raggiungimento dei crediti conta più della possibilità di conoscere e approfondire certi contenuti. A detta di Eco vige un palese sbilanciamento che premia, si fa per dire, chi fa di più e non chi fa meglio. La principale conseguenza, che è anche il peggiore dei mali, è avere un’istruzione aritmetizzata, che bada al calcolo della proporzione esatta tra numero di pagine da studiare, ore di insegnamento e peso didattico complessivo espresso in cfu. Non si va oltre questo rapporto e, dunque, ogni significato qualitativo legato all’apprendimento viene meno. Decisivo è che ad essere danneggiato risulta, soprattutto, il ruolo politico del sapere. Con “politico”, o con ogni altra declinazione di questo termine, non deve intendersi una determinata professione contemporanea, almeno in questa sede. Bensì, alla maniera greca, “politica” riguarda la città, il luogo in cui abito, l’ambiente che mi circonda. “Ruolo politico del sapere” vuol dire, quindi, riconoscere alla conoscenza un ruolo pratico, una funzione concreta, che si confronti con i fatti del mondo e non si rinchiuda dentro estratte esegesi. È questa la dote civile che l’ accademia sta perdendo. Troppo attenta a far quadrare le tabelle, l’università dimentica che là fuori c’è una vita che aspetta di essere vissuta. Il resto è notizia di questo mese: il governo si è accorto di non avere i soldi e ha rinviato il Ddl Gelmini. C’è chi dice menomale. Ma il dramma è un altro. E che la paradossale presa in giro a riguardo ad una riforma prima annunciata, quindi contestata, poi emendata, contestata di nuovo e alla fine lasciata in sospeso per mancanza di risorse. Questa è l’importanza strategica, civile e politica, della ricerca e dell’alta formazione in Italia. Tuttavia, il resto non è solo questo. Infatti, rilevare la perdita del ruolo civile del sapere all’interno delle mura accademiche ha generato la nascita di scuole e festival dedicati a questa o quella branca del sapere. Eventi di piazza, che portano la scienza, la letteratura e la filosofia fuori dai canali tradizionali. Un solo esempio, che appartiene alla Calabria. Quest’estate si è tenuta la prima edizione della Scuola di filosofia di Roccella Jonica, dal titolo “Riflessi del presente: individuo vs. politica.”. Sono intervenuti Mario Alcaro, Pietro Barcellona, Giuseppe Cantarano e Ida Dominijanni. Il punto su cui sono convenuti è stato quello di affermare l’importanza del carattere pubblico della conoscenza, che non deve indietreggiare di fronte al mondo, ma prenderlo in carico. Poco male. L’augurio è che l’esperienza roccellese continui e si rafforzi, guardandosi dallo spettacolarizzare i suoi dibattiti. Quanto all’università: forse, non è ancora sicuro, il decreto mille proroghe tirerà fuori i soldi. Ma, ecco il dubbio: in quelle ore incalzeranno già i preparativi per il cenone di Natale. Meglio aspettare la befana.
(da "Fatti al Cubo", giornale indipendente dell'Università della Calabria)

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