domenica 31 ottobre 2010

Cara ecologia_ da una lettera aperta al movimento ecologista, di Murray Bookchin


Gli anni '80 saranno un periodo estremamente critico per il movimento ecologico, sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Il pericolo è quello di una crisi di identità e di obiettivi, ed è in gioco la capacità del movimento di adempiere alle fertili aspettative di soluzioni progressiste in alternativa alla sensibilità dominante, alle istituzioni gerarchiche politiche ed economiche e alle strategie manipolatorie per la trasformazione sociale, che hanno provocato una frattura catastrofica tra l'uomo e la natura. Per dirla senza mezzi termini: è probabile che nel prossimo decennio si decida definitivamente quale sarà il ruolo futuro del movimento ecologico: semplice appendice decorativa di una società intrinsecamente malate e antiecologica, perennemente dilaniata dal conflitto tra la natura e un'incontrollabile bisogno di dominazione, di controllo e di sfruttamento; oppure, come speriamo, campo sempre più vasto di esperienza e di apprendimento per una nuova società ecologica fondata sulla collaborazione reciproca, sulle comunità decentralizzate, sulla tecnologia popolare e su rapporti non-gerarchici, libertari, che realizzino una nuova armonia non solo tra gli uomini, ma anche tra l'uomo e la natura. Potrà forse sembrare presuntuoso che io, singolo individuo, rivolga un appello a quell'ormai vasto gruppo di persone le cui attività sono ispirate da un impegno in campo ecologico. Tuttavia, le mie preoccupazioni circa il futuro del movimento ecologico non sono impersonali, né effimere. Per quasi trent'anni ho affrontato nei miei scritti i problemi delle degenerazioni antiecologiche in tutti i settori della vita del nostro paese. (…) Credo, perciò, che il movimento ecologico possa considerarmi qualcosa di più che un intruso o un novellino. Le osservazioni contenute in questa lettera sono il frutto di una vasta esperienza personale e di una giustificata preoccupazione per la sorte delle idee alle quali per decenni ho dedicato grande attenzione.

Sono convinto che il mio lavoro e la mia esperienza in tutti i campi dell'impegno ecologico avrebbero scarso significato, se si limitassero ai problemi in sé, per quanto ciascuno di essi sia importante. Dire "NO" al nucleare, o agli additivi alimentari, all'industrializzazione dell'agricoltura, alla bomba atomica non è sufficiente, se limitiamo il nostro orizzonte affrontando isolatamente ciascun problema. È ugualmente importante individuare e svelare le cause sociali, i valori e i rapporti inumani che hanno portato alla creazione di un pianeta già profondamente intriso di veleni. Ho sempre pensato che ecologia fosse sinonimo di ecologia sociale e perciò ho sempre nutrito la convinzione che la stessa idea di dominare la natura derivi dalla dominazione dell'uomo sull'uomo, o dell'uomo sulla donna, del vecchio sul giovane, di un gruppo etnico su un altro, dello stato sulla società, della burocrazia sull'individuo, così come di una classe economica su un'altra e dei colonizzatori sui colonizzati. A mio avviso, l'ecologia sociale deve iniziare la lotta per la libertà non solo in fabbrica, ma anche nella famiglia; non solo nell'economia, ma anche nella psiche; non solo nelle condizioni materiali di vita, ma anche in quelle spirituali. Se non interverremo modificando anche i rapporti molecolari all'interno della società - e cioè quelli tra uomo e donna, tra adulti e bambini, tra gruppi razziali diversi, tra etero ed omosessuali (l'elenco potrebbe continuare a lungo) - il problema della dominazione resterà immutato anche in una forma sociale "senza classi" e "senza sfruttamento". E la società sarebbe intrisa di gerarchismo anche se celebrasse i dubbi valori della "democrazia popolare", del "socialismo" e della "proprietà collettiva" delle "risorse naturali". Finché durerà la gerarchia e finché la dominazione organizzerà l'umanità in un sistema elitario, l'obiettivo del dominio sulla natura non verrà mai abbandonato e condurrà inevitabilmente il pianeta all'estinzione ecologica.

Il nuovo movimento delle donne, ancor più della controcultura, della crociata per una tecnologia "appropriata" e del movimento antinucleare (dal quale escluderei però la frangia dell'"Earth Day", con le sue sortite repulistiche) mira al cuore della dominazione gerarchica che alimenta la nostra crisi ecologica. Il movimento ecologico potrà realizzare tutta la sua ricca e multiforme potenzialità di trasformazione della società antiecologica e dei suoi valori solo se la controcultura, il movimento per una tecnologia alternativa e il movimento antinucleare si fonderanno sulla sensibilità e sulle strutture non-gerarchiche che risultano soprattutto evidenti nelle tendenze veramente rivoluzionarie del femminismo. Infine, il movimento ecologico potrà conservare intatta la sua funzione di espressione di un nuovo equilibrio tra uomo e natura e il suo obiettivo di una società veramente ecologica solo se coltiverà coscientemente una sensibilità, una struttura e una strategia per la trasformazione sociale non-gerarchica e aliene dal concetto di dominazione.

Oggi questa funzione e questo obiettivo sono seriamente minacciati. L'ecologia è diventata una disciplina alla moda, direi quasi bizzarra, e la frivola popolarità di cui gode ha fatto nascere un nuovo tipo di maniaco dell'ambiente. Da una prospettiva e da un movimento che perlomeno facevano sperare nella possibilità di una lotta contro la gerarchia e la dominazione è nata una forma di ambientalismo fondato non sulla volontà di modificare le istituzioni, i rapporti sociali, le tecnologie e i valori esistenti, bensì sulla volontà di rabberciarli alla meglio. In questo senso uso il termine "ambientalismo" per significare un fenomeno in contrasto con l'ecologia, e in particolare con l'ecologia sociale. Mentre l'ecologia sociale mira all'eliminazione del concetto della dominazione dell'uomo sulla natura attraverso l'eliminazione della dominazione dell'uomo sull'uomo, l'ambientalismo è il riflesso di una sensibilità "strumentale" o tecnica, che considera la natura un semplice habitat passivo, un agglomerato di forze e di oggetti esterni, e si pone il fine di renderla più "utile" all'uomo, senza curarsi troppo di quale uso egli intenda farne. Di fatto, l'ambientalismo si riduce a mera ingegneria ambientale, e non affronta il problema cruciale della società in cui viviamo: la volontà dell'uomo di dominare la natura. Al contrario, mira a rendere più facile questa dominazione eliminando i rischi che essa potrebbe comportare. Gli stessi concetti di gerarchia e di dominazione sfumano dinnanzi all'enfasi tecnicistica posta sulla ricerca di fonti energetiche "alternative", cioè sui progetti strutturali per il "risparmio" di energia; dinnanzi ai modi di vita "semplici" che si identificano con i "limiti alla crescita" e che rappresentano ormai a buon diritto un'industria enormemente crescente - infine, naturalmente, dinanzi al proliferare dei candidati "ecologisti" alle elezioni politiche e addirittura dei partiti "ecologici", il cui scopo non è solo quello di dominare la natura, ma anche quello di indirizzare l'opinione pubblica sui binari di un atteggiamento accomodante nei confronti del sistema sociale esistente.

La moda dell'ecologia
Il satellite solare "ecologico" di 24 miglia quadrate di Nathan Glazer, le astronavi "ecologiche" di O'Neill e i giganteschi mulini a vento "ecologici" del DOE (tanto per citare gli esempi più macroscopici della mentalità ambientalista) non sono in realtà più "ecologici" delle centrali nucleari o dell'industrializzazione dell'agricoltura. Anzi, le loro pretese "ecologiche" sono più dannose, perché ingannano e disorientano la gente. Le ciance su una nuova "era della terra", o del sole o del vento, così come la futile retorica dei produttori di pannelli solari e degli inventori "ecologici" alla frenetica ricerca di un brevetto, riescono solo a nascondere la realtà dei fatti: e cioè che l'energia solare o eolica, l'agricoltura organica, il culto della salubrità e le conversioni alla "semplicità" modificheranno in modo quasi impercettibile lo squilibrio tra l'uomo e la natura, se continueranno a esistere la famiglia patriarcale, le multinazionali, le strutture politiche burocratiche e centralizzate, il sistema della proprietà privata e la razionalità tecnocratica che oggi prevalgono ovunque. L'energia solare, l'energia eolica, il metano, l'energia geotermica resteranno sempre e soltanto fonti di energia, finché i mezzi per utilizzarle saranno inutilmente complessi, controllati in modo burocratico, proprietà di monopolio o centralizzati in forme istituzionali. Certo, il danno che provocheranno alla salute degli esseri umani sarà assai minore di quello prodotto potenzialmente dalle centrali nucleari e dai combustibili fossili; tuttavia, la salute spirituale, morale e sociale dell'umanità subirà ugualmente un danno se le si considererà semplici tecniche, incapaci di generare nuovi rapporti tra l'uomo e la natura e nell'ambito stesso della società. Il progettista, il burocrate, il dirigente aziendale e il politico di carriera non arricchiscono la società e la nostra sensibilità verso la natura in senso ecologico perché seguono una via energetica "dolce"; come tutti i "tecnocritici" (per usare un appellativo che Alory Lovin adottò per definire se stesso in una conversazione con il sottoscritto), costoro tentano semplicemente di sminuire o di occultare i pericoli per la biosfera e per la vita umana costringendo le tecnologie ecologiche nella camicia di forza dei valori gerarchici, invece di criticare i valori e le istituzioni di cui sono rappresentanti.

Gerarchia e dominazione
Alla stessa stregua, anche la decentralizzazione perde ogni significato, se non presuppone una dimensione più umana e fa invece propri i concetti dell'accumulazione logistica delle scorte e del riciclaggio. Se il nostro obiettivo per la decentralizzazione sociale (o, come amano dire gli "ecologi" politici, per la ricerca di un equilibrio tra centralizzazione e decentralizzazione) consiste nell'approvvigionamento di "alimenti freschi" e nella possibilità di "riciclare i rifiuti", nel ridurre i "costi di trasporto" o nell'"incrementare" il controllo popolare totale e completo) sulla vita sociale, allora il concetto stesso di decentralizzazione perde il significato ecologico e libertario che la caratterizza come creazione di una rete di comunità libere e naturalmente equilibrate, fondate sulla democrazia diretta e sulla piena realizzazione dell'individuo, cioè sulla possibilità di gestirsi ed agire in quella piena e totale autonomia che è una componente vitale nella realizzazione di una società ecologica. Come la tecnologia alternativa, anche la decentralizzazione si riduce a mero artificio tecnico finalizzato all'occultamento della gerarchia e della dominazione. Gli ideali "ecologici" di un "controllo municipale del potere", di una "nazionalizzazione dell'industria", per non parlare di concetti vaghi come quello di "democrazia economica", sembrano porre in forse il sistema dei profitti e delle corporazioni industriali, ma in realtà non scalfiscono il sistema di controllo sociale. Infatti, una struttura corporativa nazionalizzata resta pur sempre una struttura burocratica e gerarchica. Come individuo che per decenni si è interessato, impegnato e battuto per i problemi ecologici, mi rivolgo agli ecologi più seri e consapevoli nella speranza di sensibilizzarli a un grave problema che affligge il movimento. Per esprimere le mie preoccupazioni nel modo più esplicito e diretto possibile: temo il diffondersi di una mentalità tecnocratica e di un opportunismo politico che minacciano di sostituire all'ecologia sociale una nuova forma di ingegneria sociale. Per un certo periodo il movimento è parso ben avviato verso la realizzazione del suo potenziale libertario e non-gerarchico. Rinvigorito dalle nuove tendenze progressiste del movimento femminista, omosessuale, comunitario e rivoluzionario, il movimento ecologico sembrava finalmente pronto a concentrare le proprie forze nel tentativo di trasformare le strutture basilari della società anti-ecologica, e non semplicemente nel tentativo di trovare nuove tecniche più allettanti per perpetuarla o nuovi cosmetici istituzionali per occultarne le piaghe inguaribili. La nascita e lo sviluppo dei gruppi antinucleari, di una rete decentralizzata di gruppi di affinità la cui attività si fondava su processi decisionali direttamente democratici, sembrò alimentare questa speranza. Il problema del movimento sembrava essere principalmente un problema di auto-formazione e di educazione sociale - la necessità di comprendere a fondo il significato della struttura dei gruppi di affinità come forma durevole e "familiare", il significato della democrazia diretta e del concetto di azione diretta come qualcosa di più che una "strategia": una sensibilità profonda, l'espressione del diritto che tutti hanno di controllare in modo diretto la propria vita.

Nessun commento:

Posta un commento

visite...

Website counter