sabato 21 maggio 2011

Epicurean Life


Poiché secondo Epicuro la maggioranza delle imprese economiche stimola desideri superflui in chi non sa individuare i propri bisogni reali, i livelli di consumo risulterebbero senz’altro penalizzati da un aumento di consapevolezza e di gradimento della semplicità. Nessuna sorpresa, dunque, per il filosofo, giacché:
la povertà commisurata al bene secondo natura è ricchezza; la ricchezza senza misura è una grande povertà.
Ci troviamo insomma di fronte a una scelta: da un lato, società che stimolano desideri superflui ma hanno una forza economica enorme; dall’altro, società epicuree capaci di soddisfare bisogni materiali essenziali ma non di innalzare lo standard di vita minimo al di sopra del livello di sussistenza. In un mondo epicureo non esisterebbero monumenti grandiosi né progresso tecnologico, e i commerci con terre lontane sarebbero ben poco incentivati. Una società i cui membri avessero bisogni più contenuti sarebbe automaticamente una società di risorse più scarse. Eppure, se dobbiamo credere al filosofo, non si tratterebbe affatto di una società infelice. Per dirla con Lucrezio, in un mondo privo di valori epicurei
…il genere umano si travaglia senza alcun frutto e invano sempre, e tra inutili affanni consuma la vita, certo perché non conosce un limite al possesso e nemmeno fin dove s’accresca il vero piacere.
Ma contemporaneamente:
questo a mano a mano ha sospinto la vita in alto mare.
È facile immaginare che cosa avrebbe aggiunto Epicuro. Per quanto magnifiche siano le nostre imprese nei vasti mari, l’unico modo per apprezzarne i meriti e capire quanto piacere esse generino:
il piacere è bene primo e a noi connaturato… e ad esso ci rifacciamo giudicando ogni bene in base alle affezioni assunte come norma.
E poiché un accrescimento della ricchezza della società non pare garantire un corrispondente accrescimento della felicità individuale, Epicuro avrebbe a questo punto ribattuto che i bisogni soddisfatti dai beni costosi non possono necessariamente essere gli stessi da cui dipende la nostra felicità.

(da "Le consolazioni della filosofia" di Alain de Botton)

sabato 14 maggio 2011

uguali ma diversi _ da GRAMIGNA SOVVERSIVA di Amedeo Bertolo


Il potere per sua natura nega tutto ciò che gli si oppone e la diversità gli si oppone, in quanto ingovernabile: nessun potere è sufficientemente elastico da gestire l’infinitamente diverso. Solo il diverso può gestirsi da sé. Il diverso proclama l’autogestione, il diverso è negazione vivente dell’eterogestione. 
Il potere quindi è in continua guerra – guerra a morte – con il diverso, esso deve distruggere la diversità, o quanto meno incanalarla nella disuguaglianza. In particolare, il potere tendenzialmente totalitario dei nostri giorni è nemico implacabile della diversità. 
Per la logica tecnocratica e burocratica, il mondo ideale è il mondo standardizzato, la cui “qualità” sia tutta riconducibile a categorie e quantità computerizzabili, pianificabili, prevedibili, controllabili, registrabili, meccanografabili, addizionabili, sottrai bili, moltiplicabili, divisibili… 
Per la logica capitalistica classica, il mondo ideale è un mercato mondiale in cui tutto e tutti siano merce. Per l’ibrida logica tardo-capitalistica il mondo ideale è qualcosa di mezzo tra l’ideale capitalistico e quello tenco-burocratico.
Per il potere di oggi, all’est tecno burocratico e all’ovest tardo-capitalistico (…) la divesità è più inaccettabile che per qualunque altra forma di potere storicamente conosciuta. 
Come un rullo compressore il potere tende a livellare le differenze culturali, a distruggere le etnie, i linguaggi, i costumi locali regionali nazionali, oltre che a negare, come tutti i poteri precedenti, le diversità individuali (ricondotte a disuguaglianza, come si diceva, o mortificate). Come un bulldozer sociale, il potere sogna di spianare le colline, riempire gli avvallamenti, drizzare i fiumi, creare una pianura a perdita d’occhio in cui solo si ergano, a intervalli regolari, le torri di controllo e gli squallidi castelli del loro privilegio.
La diversità è stata sinora, nel migliore dei casi, considerata come una dato da rispettare, un oggetto di tolleranza. Ma questa è un’interpretazione inadeguata e, al limite, pericolosamente riduttiva della diversità. La diversità invece, dev’essere non accettata, ma esaltata, ricercata, creata, e ricreata continuamente. Perché la diversità è un bisogno dell’uomo, perché la diversità è un valore in sé. Diverso è bello. Come è bello che non ci siano due foglie identiche, così è bello che ogni casa, ogni paesaggio, ogni città, ogni dialetto, ogni persona, ogni nazione siano uniche e diverse.

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